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La
Confraternita a Villa Madruzzo
per l’assemblea annuale
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La
Confraternita della Vite e del Vino di Trento promuove la conoscenza e la
cultura del vino, attraverso l’organizzazione di convegni,
simposi e conferenze, occasioni gastronomiche per l’abbinamento
dei vini alle pietanze, tiene i contatti con altre confraternite
e con le manifestazioni e le mostre dei vini a livello locale,
nazionale e internazionale, calendarizza visite alle cantine che
operano sul territorio provinciale o in altre regioni. Di norma
queste uscite hanno un abbinamento culturale, come visite a
chiese, palazzi, castelli, musei, mostre d’arte e luoghi
storicamente rilevanti. Quindi, essa è interessata alla cultura
e soprattutto a quel che caratterizza, anima o agita la
“galassia” vino.
Ad
Angelo Rossi,
da anni componente capitolare della Confraternita, ma anche noto
operatore attivo per una vita nel settore del vino, di cui ben
conosce questioni e problematiche, poniamo alcune domande.
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La
Confraternita, fondata nel 1958, ha festeggiato nel 2008 i suoi
primi 50 anni di vita. Il mondo agricolo degli anni Cinquanta,
quando il vino era solo un alimento, è un pallido ricordo. Il vino
negli anni è diventato un bene di consumo raffinato e, talvolta, per
certi suoi prezzi, pare un genere di lusso. Che contributo può dare
la Confraternita all’attuale mondo enologico?
Un contributo molto importante. Se andiamo ad analizzare le cause
locali della crisi vitivinicola che si sono sovrapposte alla crisi
globale, scontiamo ad es. nei confronti dei nostri vicini (d’area
triveneta per intenderci), un deficit culturale inversamente
proporzionale sia alla notevole redditività dell’ultimo decennio,
sia alla consistente presenza pubblica nella promozione. Come dire:
più risorse si sono riversate sul settore e minore è stata
l’attenzione ai fondamentali su cui deve poggiare un armonico e
duraturo sviluppo di un territorio come il Trentino. Puntare sulla
redditività sfruttando contingenze favorevoli, dimenticandosi di
consolidare un’immagine unitaria e condivisa dagli attori, è stato
un errore grave che stiamo pagando già da qualche anno. La
Confraternita, per essere un insieme di persone disinteressate al
business, dovrebbe invitare tutti ad un “reset”, a rimettere i piedi
nelle scarpe o negli… scarponi, visto che di vino di montagna si
tratta, e riscoprire – mettendoli in pratica – quei valori
distintivi della nostra gente e dei nostri vini. Uniformarsi al
gusto globalizzato, auspicando pochi grandi enopoli ove concentrare
l’offerta del variegato vigneto trentino, è antistorico ed
insostenibile anche per le ricche disponibilità dell’Autonomia. Il
vino, spogliato della sua anima, diventa, infatti, un prodotto come
tutti gli altri con i suoi costi ed i suoi prezzi, ma se lo si
arricchisce di una sua personalità (identità, immagine, notorietà,
ecc.) aumenta di valore, emozionando. E’ questa la cultura del vino
che la Confraternita deve diffondere.
L’Istituto Agrario di S. Michele
all’Adige, scuola altamente qualificata, non solo a livello
provinciale, per le sperimentazioni che ha introdotto nei propri
piani di studio e per la formazione degli enologi, è stato
incaricato di stilare un Dossier con 10 punti basilari a riguardo
del mondo del vino trentino.
Il cosiddetto “Dossier”
dell’Istituto contiene una visione del settore prossima ventura,
rispettosa degli interessi degli oligopoli esistenti, ma garante al
tempo stesso delle legittime aspettative degli operatori medi e
piccoli che compongono il mondo vitivinicolo trentino. Certo, ha il
difetto per gli oligopoli, di mettere il territorio e le sue varietà
al centro della pianificazione, spostando gli equilibri dalle
quantità alle qualità. Degli uomini come dei vini. Infatti, quando
si pretende la maggioranza nella Consulta provinciale si fa un
discorso di quantità, ma la Consulta per essere tale, non dovrebbe
caratterizzarsi invece per la qualità (culturale) dei suoi
componenti? Se così non sarà, il Dossier di San Michele rimarrà un
buon esercizio accademico e la soluzione della crisi verrà ancora
rinviata.
Il Consorzio dei viticoltori
trentini, giustamente, pretende di partecipare alla gestione del
mondo vitivinicolo e spesso manifesta malumori e contrarietà alle
iniziative politiche intraprese.
Dieci anni fa veniva improvvidamente chiuso l’Istituto Trentino
del Vino, già Comitato Vitivinicolo, organismo interprofessionale e
paritetico fra cantine sociali, commercianti-industriali ed aziende
agricole. Nel settore aveva il compito della “tutela” e della
“valorizzazione” contemporaneamente (la mano destra sapeva cosa
faceva la sinistra). La cooperazione (una certa cooperazione)
pretese la maggioranza assoluta, avendo l’80% dell’uva, ma tutti
assieme (privati compresi) si dichiararono felici nell’affidare
all’Ente pubblico il costo della pubbli-promozione. Nacque così il
Consorzio vini che si tenne la “tutela”, mentre la promozione passò
alla Camera di Commercio. Se ora i produttori manifestano malumori e
contrarietà, non hanno che da “resettare”, tornando alle origini e
assumendo per buono il Dossier di San Michele. Studiandoselo per
migliorarlo, ma non affossandolo come hanno fatto.
La Camera di Commercio, che
gestisce l’Enoteca provinciale del Trentino, inaugurata nel
settembre 2007 e la cui sede è in Palazzo Roccabruna a
Trento, dove vengono promossi in abbinamento anche altri prodotti
trentini tipici, ha portato ai produttori locali i vantaggi e i
benefici attesi per i propri vini?
Coerentemente con quanto espresso sopra, non si può imputare al
solo Roccabruna la colpa dei limiti dell’azione fin qui svolta. Vero
è che le risultanze delle indagini dell’Osservatorio ed i segnali
che da tempo piovono sul settore, avrebbero dovuto smuovere il
management già tempo fa. Ma questo è il prezzo che si paga se non si
vuole mettere mano al portafoglio. Ricordo solo per inciso che, fino
al 1999, tutti i costi di pubbli-promozione (4,5 Mld di Lire) erano
co-finanziati al 50% dalle aziende, le quali, ovviamente,
esercitavano un ben diverso controllo sui costi e sui benefici
mettendoci oltre alla testa (ossia il denaro), anche il cuore
(l’anima del vino). E al Vinitaly, per dirne una, allora erano tutti
uniti, mentre in Germania la considerazione del Trentino era ben
diversa…
La cooperazione trentina, nello
sviluppo della produzione del vino e nella gestione delle cantine,
impiantate anche in altre regioni italiane, ha meriti e
responsabilità ma, viste le difficoltà di questi ultimi anni, si
possono delineare anche colpe precise ed errate politiche negli
investimenti e nella gestione?
La cooperazione resta la più grande e nobile scelta per una
realtà come quella agricola trentina. Detto questo, l’Ente pubblico
che doveva “indirizzare, coordinare e controllare” (come dice il
dettato autonomistico) ha lasciato queste prerogative agli oligopoli
cooperativi, con il risultato che abbiamo sotto gli occhi. Mamma
Provincia, infatti, non può chiamarsi fuori lasciando la soluzione
della crisi alla cooperazione perché questa da un lato si è
articolata con diverse società di capitale, che poco hanno da
spartire con l’idea originaria, e dall’altro ha perso di vista i
valori fondanti del movimento. Politiche sbagliate e gestioni
allegre sono il risultato della de-responsabilizzazione indotta
dalla mancanza di indirizzo, coordinamento e controllo da parte
dell’Ente pubblico. Il guaio è che fino ad ora non si è sentito dire
di una volontà di “riappropriarsi” di tali prerogative da parte
dell’assessorato, quindi…
La politica, che ci mette la
faccia e anche i soldi, come dovrebbe meglio mirare i propri
interventi nel settore della vitivinicoltura per raggiungere quei
risultati da sempre agognati, anche in termini di ricaduta turistica
sul territorio?
Della faccia della politica non m’importa, dei nostri soldi sì.
Mi permetto ancora un richiamo alla coerenza: se la Provincia ha
proposto il Dossier di San Michele e questo è stato criticato da
qualcuno, la responsabilità degli “indirizzi” deve restare in capo
alla PAT, con buona pace degli oligopoli. Invece tentenna, tratta,
papocchia… e intanto Bolzano e Verona vanno avanti senza un Trentino
all’altezza.
In quanto alla ricaduta turistica sul territorio, torna
prorompente la necessità di “coordinamento”. Intendo dire: se la
promozione turistica trentina sceglie la via “quantitativa” (ad es.
promuovendosi nei Paesi dell’Est), deve essere consapevole che così
perde i tedeschi (che con gli ötzi non c’azzeccano), mentre i
vinicoli avrebbero bisogno della via “qualitativa” dei germanici,
che hanno ben altra capacità di spesa.
Il Vinitaly a Verona, quest’anno
si è tenuto dal 7 all’11 aprile 2011. Quale impressione ne hai
ricavato personalmente e che immagine han dato di sé i vini
trentini?
S’è notata una voglia di reagire alla crisi da parte delle
aziende, anche con innovazioni interessanti. Continua a mancare nel
nostro Paese, invece, una regia strategica sia per il mercato
interno sia soprattutto per l’export. Basti pensare a come si
gestisce male la piaga dell’abuso di alcolici fra i giovani,
penalizzando il consumo del vino al ristorante o, per chi si
avventura sui mercati esteri, all’assenza di un efficace supporto
istituzionale. Per non parlare di una legislazione farraginosa ed
obsoleta, che distoglie risorse importanti alle aziende. Ciò
nonostante i vini sono sempre migliori, magari troppo alcolici. Ecco
qui, uno spazio nuovo per i nostri vini di montagna… ma bisogna
andare oltre i proclami.
Circa l’immagine che han dato di sé i vini trentini,
singolarmente presi, non hanno certo deluso; è il territorio nel suo
complesso ad aver perso un’altra occasione per affermarsi almeno
all’altezza dei nostri competitors. Il discorso quindi va ribaltato:
prima si fa ordine in casa, rispettandosi e imparando a parlare bene
l’uno dell’altro, poi si va in Mostra a far fronte comune. Ne va
della credibilità.
Quali sono i problemi del
marketing applicato al vino e all’enogastronomia trentini da
affrontare e risolvere? E il Talento e il Trentodoc, tenuto conto
anche della concorrenza, hanno raggiunto gli obiettivi prefissati?
Penso che il vino ed i prodotti tipici trentini, al pari
dell’enogastronomia e dell’offerta turistica, soffrano dello stesso
male. Troppe risorse pubbliche, per gestire anche l’ordinario,
comportano due micidiali negatività: una sul fronte interno, con
l’affievolimento delle coscienze degli imprenditori medio-piccoli,
che sono la stragrande maggioranza, l’altra è la reazione stizzita
dei competitors esterni verso un’ostentazione di risorse spesso
condita con un’autoreferenzialità, che non appartiene alla cultura
trentina. Ascoltare per credere.
Talento e Trentodoc sono oggi due mezzi fallimenti: il primo,
partorito sulla via di Trento, è stato ben presto buttato assieme
all’acqua, solo perché la Franciacorta non condivideva; il secondo,
pur di non cacciare un soldo, s’è venduto il nome all’ente, che, con
maldestri consulenti, ne ha fuorviato l’essenza spogliandolo di ogni
possibile emozione. Intendiamoci: l’incremento delle vendite delle
singole marche è merito precipuo del prestigio delle stesse e della
favorevole contingenza del mercato. E’notorio che Champagne e
Classico si consumano di più in tempo di crisi (dato che la crisi
obbliga a rinviare le spese più consistenti). Da che mondo è mondo
poi, Champagne e Ferrari (per citarne due che sanno comportarsi) non
fanno pubblicità, ma solo raffinate relazioni esterne per un
consumatore elitario. Trento, invece, prima svilisce nella sigla dei
vini fermi (doc), poi sponsorizza giri d’Italia o decotte squadre di
calcio. Sano (o dopato) sudore e tifo da curva sud: più popolari di
così si muore, ma se paga pantalone si tace. E questo non va proprio
bene. Dal ciclismo prenderei solo la famosa frase di Gino Bartali “…
gli è tutto da rifare!”.
Il discorso sarebbe lungo, ma penso che gli obiettivi si
raggiungeranno sia con un intelligente rilancio del Talento (specie
per l’export e con buona pace degli scettici), sia con una risoluta
revisione del disciplinare e della strategia del “Trento”, senza
altri fronzoli. Altrimenti, per consolarci, ci resterà pur sempre il
Ferrari che il suo campionato di F1 lo vince ogni anno.
Zell, 14
aprile
2011
Angelo Siciliano
Integrazione
all’intervista ad Angelo Rossi
Dopo la
divulgazione dell’intervista ad Angelo
Rossi, nel mondo del vino trentino, che attraversa una crisi
profonda senza precedenti, sono successi alcuni fatti gravi –
rottura tra l’Associazione dei vignaioli e la politica, e lettere
anonime ingiuriose pervenute a qualche vignaiolo –, per cui abbiamo
ritenuto utile approfondirli ponendogli qualche altra domanda.
La
Provincia autonoma di Trento intende istituire la
“Consulta del vino”
per avviare un rilancio ormai
urgente del settore del vino trentino. Dei 15 membri, sei sono stati
assegnati al mondo cooperativo, che produce il 90% del vino locale,
e uno solo ai Vignaioli privati, che l’hanno presa molto male per lo
strapotere accordato alla cooperazione e, dopo aver rinunciato a
partecipare unitariamente al Vinitaly, hanno annunciato ora la
diserzione alla prossima Mostra dei vini trentini al Buonconsiglio.
Ormai la rottura pare insanabile.
La questione, oggi, sembra superata dagli eventi, ma come
vedremo, la “Consulta del vino” o analogo organismo, per il Trentino
si imporrà comunque prima o poi. Meglio prima possibile. Meglio se
sarà veramente paritetica. Chi mira aprioristicamente alla
maggioranza sottolineando l’evidente dimensione del mondo
cooperativo dimostra (non voglio offendere) scarsa dimestichezza con
la portata della questione. Infatti, il braccio di ferro fra
Vignaioli e Cooperazione/PAT si stava trasformando in un “Davide e
Golia” (e sappiamo come andò a finire), cosicché Mellarini ha
aggirato la tenzone con la nomina di 4 saggi. Intanto si respira, si
prende tempo. Speriamo non troppo. Per quanto attiene alla
partecipazione alla Mostra dei Vini i giochi per quest’anno sembrano
fatti, poiché chi ha deciso di partecipare lo ha già fatto sapere ai
suoi clienti, ma l’occasione sarebbe propizia per annunciare
un’intesa che è nelle cose.
L’assessore
provinciale all’agricoltura, Tiziano Mellarini, ribatte che i sei
membri della cooperazione non rappresentano la maggioranza della
Consulta, che non ha potere politico, perché è solo la sede in cui
discutere di marketing, di valorizzazione dei prodotti dei
produttori part time, di recupero dei vitigni storici e della
riscoperta del vino di montagna.
Non mistifichiamo: quella maggioranza la si voleva per continuare
come si è fatto finora. I Vignaioli, consapevoli di avere una parola
importante da dire nel campo della Qualità, si sono messi di
traverso reclamando un ruolo paritetico nell’Organismo, che
imposterà gli indirizzi generali di medio-lungo periodo, prima
ancora delle varie iniziative a breve. Anche la presunta incertezza
sui ruoli della Consulta sembra strumentale, sia perché se così non
fosse si stravolgerebbe un punto fondamentale del Dossier di San
Michele, sia perché qualcuno gli indirizzi generali li dovrà pur
dare. Scontato che su due piedi l’Assessorato competente non è in
grado di indicarli, siano almeno incaricati i suoi organi tecnici,
come la FEM o l’istituenda Consulta, appunto.
L’assessore
Mellarini non molla e, per dirimere la questione relativa alla
Consulta, ha nominato quattro saggi. Riusciranno costoro a venirne a
capo e a sbloccare la situazione?
Ci riusciranno se avranno il coraggio di prendere il sacco in
cima, spiegando alla cooperazione che, dopo i proclami sul recupero
dei valori etici e morali di cui pur si parlò qualche mese fa, è
giunto il momento di passare al concreto. Separando le attività
squisitamente industriali (che per definizione non possono avere
limiti territoriali di approvvigionamento) da quelle territoriali.
Queste ultime devono tornare ad essere il (solo) pane quotidiano
delle Cantine di primo grado. La strada per garantire reddito ai
viticoltori (cooperatori), quindi, è duplice: da un lato un vigoroso
e coerente ritorno ad una politica di territorio (con risultati
attesi nel medio periodo), e dall’altro la prosecuzione
dell’attività industriale ben separata dalla prima. Se così non
fosse, ne andrebbe della credibilità del territorio che è stato il
vero punto di debolezza e causa di questa crisi.
La
75a Mostra del Vino Trentino al Buonconsiglio, a cui
parteciperebbero cinquanta aziende di cui venti vignaioli
indipendenti
dall’associazione di Balter, ha
rischiato la cancellazione. Sarebbe stata una grave perdita o solo
un’altra occasione mancata?
Ricordo, per chi non lo sapesse, che le Mostre Vini di Trento e
di Bolzano sono di gran lunga le più antiche d’Italia, perché a San
Michele si degustava e si comparavano i vini, ogni primavera, fin
dalla fine dell’800. La prima edizione “moderna” si tenne nel 1925
nel Grande Albergo Trento, oggi sede della Giunta PAT e fu
interrotta per alcuni anni solo a causa della guerra. Bolzano
mantenne la numerazione, Trento la sospese: ecco perché noi siamo
“solo” alla 75.ma edizione. Basterebbe questo per bollare di
superficialità quanti ne hanno messo in dubbio la realizzazione,
deviando così i riflettori da ben altre responsabilità. Ricordo
ancora che, per l’appuntamento primaverile della Mostra, si
sospendeva ogni attività ordinaria, perché alto ed atteso era quel
momento di verifica, di programmazione e di commercio del prodotto
principe del Trentino. E, attorno ai tavoli della Mostra, prendevano
corpo le istanze e le proposte degli addetti ai lavori: nel ’49, fu
da lì che nacque il Comitato Vitivinicolo; nel ’58, fu fondata la
Confraternita della Vite e del Vino di Trento; poi fu la volta
dell’Istituto Trento DOC metodo classico. Solo per citarne alcune.
Oggi mancano i contenuti veri. Ma, per tornare ai fasti di un tempo,
sarà necessario quanto prima affrontare e risolvere i problemi qui
menzionati.
(Questa intervista, fatta per la rivista “La
Vigna”
e per il sito
www.confraternitadellaviteedelvino.it
della Confraternita della Vite e del Vino di Trento, è anche nel
sito
www.angelosiciliano.com).
Zell, 24
aprile
2011
Angelo Siciliano
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