Finalmente, il 17 aprile 2010, dopo
lunghi e meticolosi restauri, Castel Thun, acquistato nel 1992 dalla PAT,
Provincia autonoma di Trento, dagli eredi di Zdenko Franz de Paula
Guidibald Thun Hohenstein, del ramo boemo dei conti Thun, che l’aveva
abitato per ultimo dal 1926 al 1982, ha riaperto al pubblico la sua
maestosa Porta spagnola, fatta costruire nel 1566 da Giorgio Thun, dopo
il suo ritorno da un viaggio in Spagna al seguito dell’imperatore Carlo
V.
Un grande castello, a cui hanno
lavorato, in quasi venti anni di studi, recuperi, acquisizioni e
restauri, tre soprintendenze provinciali: quella per i Beni
architettonici, quella per i Beni Storico-artistici e quella per i Beni
librari, archivistici e archeologici.
Edificato in cima ad un’altura,
l’antica rocca di Belvisino, con una doppia cinta muraria turrita,
composto da più edifici, ampliati, riadattati nei secoli e circondati da
ampi giardini, è insieme residenza signorile, magnificamente arredata
con tutti i comfort, e fortezza.
È da annoverare tra i più importanti
castelli d’Europa. Visto dall’alto, a volo d’uccello, pare, nella sua
forma ellittica, una nave in viaggio. Ora, finalmente, il suo cammino è
ripreso. Non tanto come museo di se stesso, ma come scrigno di storia,
arte, documenti e cultura di una famiglia, tra le più importanti del
Trentino e del Tirolo, che ebbe un proprio ruolo nella storia della
Mitteleuropa, e di un territorio, per il quale s’appresta a diventare volano culturale e turistico. E lo sarà non solo per
la comunità del paese sottostante, Vigo di Ton, ma anche per la
promozione dell’intera Val di Non, in combinazione sinergica con San
Romedio, Sanzeno e il Palazzo assessorile di Cles.
Viene ad aggiungersi, come sede
territoriale, al Castello del Buonconsiglio monumenti e collezioni
provinciali e ai castelli Beseno e Stenico, tutti della PAT, e insieme
sotto la direzione di Franco Marzatico.
È un maniero abitato dalla famiglia
Thun, dal 1267 al 1982, che, originaria della bassa Val di Non, la si
riscontra nei documenti a partire dal 1050, come vassalla prima dei
signori di Flavon e poi degli Appiano. Le origini del suo feudo datano
1199, quando il principe vescovo di Trento, Corrado da Beseno, concesse
ai fratelli Albertino e Manfredino di Ton e ai loro discendenti il dosso
chiamato Visione, col permesso di edificarvi un castello. Negli anni
essa estese il proprio dominio acquisendo altri feudi e i castelli di S.
Pietro, Castelletto e Belvisino, nel territorio dell’attuale Vigo di
Ton, e poi i castelli di Braghèr, Castelfondo, Altaguardia e Caldès,
della Val di Non e Val di Sole. Ai castelli, naturalmente, si
aggiungevano masi, torri, diritti, censi e rendite, che rappresentavano
un notevole complesso feudale, e, in epoca moderna, furono incrementati
da Monreale e diversi masi in Valle dell’Adige.
Fu una famiglia prolifica, nelle sue
diverse linee di discendenza, e il suo cognome de Tono
o de Thono, tedeschizzato,
divenne Thun e si diffuse per l’Europa, fino in Boemia. I suoi
discendenti vivono attualmente tra la Val di Non, Bolzano, Milano e
Vienna.
Tra il Trecento e il Quattrocento, i
Thun, pur divisi tra diverse linee di discendenza con pari diritti su
tutti i feudi e castelli, avevano acquisito un potere diffuso
capillarmente sul territorio. I loro titoli erano: vassalli dei conti di
Flavon e di Appiano, ministeriali del principe vescovo di Trento, baroni
iscritti alla matricola tridentina, coppieri del principe vescovo di
Trento dal 1469 e del principe vescovo di Bressanone dal 1558.
Nel 1525, capeggiata dal tirolese
Michele Gaysmair, scoppiava la “guerra rustica”, rivolta contadina
armata, che mirava a istituire una repubblica contadina, con la
nazionalizzazione delle terre e delle miniere, l’abolizione della
nobiltà e del ruolo della Chiesa cattolica, per una fede in rapporto
diretto con Dio. Iniziata a Bressanone, si estese al principato di
Trento con incendi dolosi, saccheggi di castelli, monasteri e uccisioni.
I Nònesi e gli insorti delle altre valli, sebbene male equipaggiati ed
organizzati, si misero in marcia per occupare Trento, ma le truppe del
principe vescovo Bernardo Clesio, che nel frattempo si era rifugiato tra
le sicure mura di Riva del Garda, non solo li fermarono ma in parte li
fecero prigionieri. La rivolta fu soffocata nel sangue, e pare che
Sigismondo Thun fosse tra i protagonisti della repressione. Il Gaysmair
stesso, dopo alcuni anni, era ucciso da un sicario dell’arciduca
Ferdinando a Padova nel 1532.
Con l’acquisizione del feudo di
Königsberg, nel 1472, furono iscritti alla matricola nobiliare tirolese
e nel 1530 divennero baroni. Ma è nel 1629 che avvenne il salto di
qualità. Cristoforo Simone Thun-Bragher emigrò in Boemia, e, avendo
combattuto la Guerra dei Trent’anni, 1618-1648, ottenne per tutta la
famiglia il feudo imperiale Hohenstein e la concessione, da parte
dell’imperatore Ferdinando II d’Asburgo, del titolo comitale, vale a
dire conti del Sacro Romano Impero.
Alla base di questi traguardi familiari
vi era la posizione di potere abilmente conquistata e consolidata nel
medioevo. Da una parte badavano ai feudi, alle rendite,
all’amministrazione della giurisdizione, ai rapporti con i sudditi e coi
parigrado. Dall’altra erano attenti ai rapporti con le autorità, che
conferivano loro il potere: il principe vescovo di Trento, loro diretto
superiore, e il conte del Tirolo, da cui dipendevano le sorti delle
casate esistenti sul territorio. E, proprio la loro abilità a
districarsi in questi delicati equilibri, consentì ai Thun di ricoprire
posti importanti nella società di allora. Erano pronti ad approfittare
delle situazioni favorevoli e abili a non farsi trovare impreparati nei
periodi dei cambiamenti.
Nel 1596 i Thun si divisero i beni e i
titoli nobiliari. Si definivano in questo modo tre linee dinastiche:
quella di Castel Caldès, che si estinse presto; quella di Castel Bragher
e Castelfondo, che ebbe ampia discendenza sia in Trentino che in Boemia;
quella di Castel Thun, che, seppure fosse la meno ramificata, e con dei
rischi di discendenza, sarebbe stata per almeno un paio di secoli la più
brillante e autorevole.
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Castel Thun diventava il luogo della
memoria e dell’onore di tutti i Thun, e l’orientamento di questa
famiglia aristocratica era di avere un erede unico per non dividere
ulteriormente le proprietà, di norma il secondogenito, che fosse conte
nel castello e tramandasse il casato, sposando solitamente una nobile
trentina o anaune, scelta spesso tra i cugini Thun di Castel Bragher,
mentre gli altri figli dovevano ambire a cariche ecclesiastiche, molto
redditizie nella Chiesa imperiale, in canonicati, priorati, abbazie e
vescovadi. Nel caso di decesso di chi portava avanti il casato, un
parente prossimo già ecclesiastico era costretto a tornare allo stato
laicale per motivi dinastici. Meno ambite erano le carriere diplomatiche
e militari. Solo la linea Thun annoverò undici canonici di vari
capitoli, di cui tre principi vescovi a Trento, Sigismondo Alfonso,
Domenico Antonio e Pietro Vigilio, tra il 1668 e il 1800, uno di Seckau
e uno di Passau.
All’inizio del Settecento, con il conte
Gian Vigilio, il centro di potere e dell’attività di famiglia si spostò
a Trento e Castel Thun divenne luogo di vacanza per la famiglia del
conte e i fratelli ecclesiastici, nonché ritiro per lo studio e la
caccia.
Nel 1800 moriva a Castel Thun, nella sua stanza
ancora adesso perfettamente conservata, Pietro Vigilio Thun, l’ultimo principe
vescovo, nonché signore feudale ad avere esercitato il potere temporale, perché
nel 1801 arrivava a Trento Napoleone Bonaparte e aboliva il Principato vescovile
di Trento, antico stato ecclesiastico che esisteva dall’inizio dell’XI secolo,
nel territorio dell’attuale Trentino e di parte dell’Alto Adige, come entità
semi-indipendente nel Sacro Romano Impero di Germania, cancellato anche questo,
sempre da Napoleone, nel 1806. Con la secolarizzazione, il territorio dell’ex
Principato vescovile passava, tra il 1803 e il 1810, al filo-napoleonico Regno
di Baviera e poi al Regno d’Italia fino al 1814. Con la Restaurazione del 1815,
era inglobato nella Contea del Tirolo nell’Impero d’Austria.
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Il successore del principe vescovo
Pietro Vigilio fu Emanuele Maria Thun, ma non ottenne dall’imperatore
l’investitura temporale e il Capitolo fu costretto a occuparsi, da
allora in poi, solo dei problemi ecclesiastici.
Il cessato introito dei proventi
ecclesiastici, unitamente a investimenti sbagliati nella sericoltura e
nel mercato azionario, nonché il generoso mecenatismo, per La Giovane
Italia e le imprese garibaldine, da parte del conte Matteo Thun, in
pochi anni provocarono un dissesto nelle finanze di famiglia, per cui
dovettero essere venduti il Palazzo Thun di Trento, acquistato dal
comune nel 1871, alcune collezioni d’arte, l’argenteria e parte
dell’archivio del castello. Tuttavia, prima di trasferirsi a Padova e
poi a Mezzocorona, alla ricerca di buone sistemazioni per i figli, i
Thun avevano dovuto rinunciare al vecchio modello aristocratico, goduto
col vecchio regime, e diventare nuovo ceto dirigente, con un modello
rinnovato di gusti, costumi e cultura.
Due mostre pertinenti si sono
organizzate in questi ultimi anni, prima di arrivare all’inaugurazione
di Castel Thun: Arte e potere dinastico. Le raccolte di Castel
Thun dal XVI al XIX secolo, nel 2007,
nella casa de Gentili a Sanzeno, dedicata al collezionismo dei Thun e
quella inaugurata il 30 maggio 2009, a Torre Vanga di Trento,
Quadri a fiori e frutti, con quadri di
natura morta provenienti da alcune raccolte venete, dalle collezioni di
alcuni musei trentini e dall’arredo di Castel Thun.
Sempre a Torre Vanga, il 31 marzo 2010,
si teneva la conferenza La potenza dei Thun. Le artiglierie del
conte Sigismondo (1487- 1569), per la
presentazione dei due falconetti (colubrine) in bronzo, che la PAT ha
acquistato sui mercati europei per farli tornare a Castel Thun.
Inizialmente i falconetti, prodotti nel 1554 e posti a difesa del
castello, erano 12 e negli anni furono venduti dai Thun assieme ad altri
oggetti d’arredo e culturali.
Non va dimenticato poi il volume,
Matteo Thun e le arti. Le collezioni, il palazzo e il castello
attraverso il suo epistolario (1828-1890),
di Emanuela Rollandini, promosso dal Castello del Buonconsiglio ed edito
nel 2008 dalla Società di Studi Trentini di Scienze Storiche.
Castel Thun, nella filosofia dei suoi
proprietari, è stato sempre il luogo d’origine e della memoria di
famiglia da conservare e tramandare. Subì incendi gravi nel 1528 e nel
1569, fu saccheggiato dai Francesi nel 1797 e per tutto l’Ottocento patì
una lunga decadenza, protrattasi sino al 1926, anno in cui Matteo III
Thun lo vendette all’altra linea del casato, quella boema. Ora lo si
offre ai visitatori, restituito a nuovo splendore e rivive, come se
fosse nuovamente abitato, nei locali posti a sua difesa con i due
falconetti, nei giardini
curati e rinnovati, nelle carrozze, nei trofei di caccia,
negli
ambienti dei due piani del Palazzo Comitale, nelle splendide
stanze rimesse in ordine e con mobili antichi del Rinascimento, del
Settecento, di stile Impero e Biedermaier (stipi, cassettoni, credenze,
secretaires, tavoli, letti, comodini, divani, poltrone, argenteria,
porcellane, vetri da tavola, armi bianche, forzieri, sculture in
alabastro), nella splendida cappella affrescata di S. Giorgio, nella
sontuosa stanza seicentesca del vescovo di boiserie alpina, nella cucina
e nella sala da pranzo ordinate con tutte le stoviglie e suppellettili,
nelle quadrerie, nelle splendide stufe ad olle per il riscaldamento dei
vari ambienti del palazzo, negli oggetti d’arte, nei libri e nei
documenti.
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Tanti i quadri che decorano il castello e
attestano una straordinaria raccolta d’arte: ritratti di famiglia,
paesaggi, nature morte, soggetti religiosi e mitologici, di grandi
maestri italiani come Jacopo Bassano, Camillo Procaccini, Giacomo da
Castello, Giuseppe Maria Crespi e Giovanni Battista Lampi, e
mitteleuropei come Kohl, Vollmer, Achenbach ed Heinlein.
La biblioteca della famiglia Thun, una
volta custodita nella torretta sud-occidentale della cinta muraria
interna del castello, è ora consultabile presso l’Archivio provinciale
di Trento e conta circa 9.500 unità, tra monografie, periodici e
opuscoli usciti tra la fine del XV e quella del XX secolo.
L’archivio dei Thun di Castel Thun, –
1788 pergamene, 1257 registri e circa 250 buste di atti sciolti – è
custodito presso l’Archivio provinciale di Trento e in parte è
consultabile anche on line. L’archivio della linea boema dei Thun – 1772
pergamene, con oltre 550 sigilli, e 197 buste di carteggi – è conservato
presso l’Archivio di Stato di Litomerice, nella Repubblica ceka, ed è
consultabile come microfilmature dei documenti originali. Tutti questi
documenti, oltre che per la storia della famiglia Thun, sono importanti
anche per quella del Principato vescovile di Trento e della Contea del
Tirolo.
La mattina del 17 aprile, vi è stata
l’inaugurazione per la stampa, con giornalisti arrivati pure da Milano,
presenti Franco Panizza, Assessore alla Cultura, Rapporti europei e
Cooperazione della Provincia autonoma di Trento, il sindaco di Ton Marco
Endrizzi e il direttore del Castello del Buonconsiglio e degli altri tre
castelli Franco Marzatico. Nel pomeriggio, inaugurazione per il pubblico
col Presidente della giunta provinciale, Lorenzo Dellai.
Castel Thun rimarrà aperto ai
visitatori tutto l’anno e, in futuro, ospiterà una seduta della giunta
dell’Euregio e sarà destinato a sede di rappresentanza per importanti
avvenimenti che si andrà a organizzare. Sarà il fiore all’occhiello non
solo della Val di Non, grande produttrice di mele, ma anche per il
turismo culturale della PAT.
Lo stesso giorno, alle ore 14.00, a
Vigo di Ton, con una nutrita presenza di pubblico e orchestra musicale,
si inauguravano i murales di Paola de Manincor, realizzati con Stefano
Salizzoni e Cristian Carli sulla facciata di un palazzo che affaccia
sulla piazza del paese, da cui prende avvio il percorso che da Vigo di
Ton, attraverso i meleti, raggiunge il maniero dei Thun, posto più in
alto.
Scheda della
guida di Castel Thun
La guida di Castel
Thun, delle Guide Skira, di 111 pagine, curata da Lia Camerlengo, Ezio
Chini e Francesca de Gramatica, con testi di Ilaria Adami, Marcello
Bonazza, Lia Camerlengo, Ezio Chini, Francesca de Gramatica e Armando
Tomasi, illustrata con foto a colori e in bianco e nero, è stampata nel
mese di aprile 2010 da Skira editore, Milano.
(Questo testo,
scritto per il
Corriere-quotidiano dell’Irpinia e per
la rivista trentina Judicaria,
è fruibile nel sito
www.angelosiciliano.com).
Zell, 30 maggio
2010
Angelo Siciliano
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