A Remo Wolf (Trento, 1912 – 2009), a
circa un anno dalla morte, sono state dedicate due mostre a Trento.
Io e Wolf non ci conoscemmo
personalmente, perché non ci avevano mai presentato gli amici comuni:
pittori o poeti. Eppure, m’è capitato di scrivere anche di qualche sua
mostra, personale o collettiva, o di presentare, parlando a braccio, sue
opere assieme a quelle degli artisti del Gruppo “La Cerchia”, di cui era
stato tra i fondatori nel 1986, e di cui faceva parte anche Cesarina
Seppi. Altra artista mai frequentata, a cui feci pervenire, tramite il
poeta Marco Pola, la mia recensione, uscita nella rivista “UCT” di
Trento, di una sua antologica, “I segni della luce”,
allestita nel 1988 a Palazzo Trentini. Ma di vista li conoscevo entrambi
e mi capitava di incrociarli soprattutto alle inaugurazioni delle mostre
di Palazzo delle Albere. Wolf si teneva sempre in disparte. Ai margini
della folla, accorsa per le occasioni. Raccolto nella sua piccola
figura, il basco scuro calcato in testa, ascoltava attentamente gli
interventi dei relatori. Pareva che non volesse mescolarsi agli altri o
non avesse nulla da spartire con la ressa. Arte a parte. Anch’io ero
dell’idea che fosse un artista schivo, forse un po’ burbero. Ma non
altezzoso. E invece, scopro ora, da quanto confida qualche familiare,
che era affabile di carattere, amato in famiglia e apprezzato dagli
studenti del Liceo Scientifico “G. Galilei”, dove ha insegnato sino al
1976. E coltivava un suo mondo segreto fatto di ricordi, anche tragici
dei sette anni di guerra e prigionia durante il secondo conflitto
mondiale, e poi di favole, erudizioni letterarie, filosofiche e
religiose, da cui attingeva instancabilmente nuovi spunti e motivi per
procedere nel suo fare arte.
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Mi capitò di scrivere di un’antologica
di Dario Wolf – altro artista che non conobbi –, pure lui di forte
spessore culturale e artistico. Ma, a parte il cognome, non c’era altra
comunanza con Remo.
Ero arrivato dall’Irpinia a Trento, nel
febbraio del 1973, con una nomina d’insegnamento a tempo indeterminato e
decisi di non lasciare più questa città. Nell’estate del ‘74, con la
famiglia trentina, presso la quale avevo affittato una camera, decidemmo
di visitare Roma, effettuando una settimana di immersione nei siti
archeologici, nelle piazze, nelle chiese e nei musei capitolini. E, a
seguire, avremmo visitato gli scavi di Pompei, ricavandone
un’impressione formidabile. Fu visitando la sezione d’arte contemporanea
dei Musei Vaticani, che m’imbattei per la prima volta in due o tre
xilografie di Wolf, di una certa dimensione a tematica sacra. Negli anni
successivi avrei incrociato l’arte di altri artisti trentini e
apprezzato le opere di Depero, Garbari, Cainelli, Moggioli, Bonazza,
Disertori, Ratini, Melotti, Bonacina, Winkler, Polo.
Remo Wolf, a partire dal 1930, ebbe due
studi: sino al 1964 in una soffitta di via Grazioli e poi in via Santa
Margherita, dove ha lavorato sino al 2002 realizzando un numero
straordinario di opere: disegni, pastelli, incisioni e dipinti ad olio,
che assommano in totale ad oltre 5.000, di cui ben 2700 sono xilografie.
Trovava riferimenti ispirativi nelle
fonti letterarie e programmava le sue opere leggendo i poeti Virgilio,
Baudelaire, Giuliotti e Papini. Si ispirava anche al Medioevo, che divide
e separa l’età classica da quella rinascimentale. Mille anni di eventi
oscuri e turbolenti, identificati come negativi dalla Riforma
protestante e dalla cultura illuministica, ma rivalutati dalla
storiografia del Settecento, che individuò in essi le origini della
civiltà delle nazioni europee, e dalla cultura romantica, che vi
riscontrò grandi passioni e fede religiosa, ma anche scontro fecondo tra
forze nazionali e sociali, da cui è originata l’Europa moderna.
Su alcune opere di ambito medievale
come il Decameron del Boccaccio,
il Faust di Goethe e il
Testamento di Villon, Wolf ha
concentrato la propria attenzione creativa. Tre opere diverse, che non
lo inducono a giudizi storici per i loro contenuti, ma riescono a
emozionarlo, appassionarlo, soprattutto nella produzione di xilografie
di forte presa realistico-espressionista, che esprimono la condizione
dell’umana sofferenza.
Mosso sempre da curiosità nella
ricerca, ha osservato, studiato, approfondito la poetica artistica
altrui rimanendo però fedele al proprio segno, per rappresentare la
“pena di vivere”.
Ancorato alla storia dell’arte, ha
guardato ai maestri del Rinascimento come Masaccio, Piero della
Francesca, Mantegna, Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Dürer e ai
moderni Toulouse-Lautrec, Braque, Modigliani, Grosz e Rouault.
Realizzò xilografie di grandi
dimensioni, dedicate ai maestri rinascimentali Masaccio, Piero della
Francesca, Mantegna e Dürer, con citazione di loro opere. Altri artisti,
omaggiati con opere xilografiche, appositamente realizzate, sono
Michelangelo, G. B. Tiepolo e H. Harp.
Proprio la tecnica xilografica, in cui
lui assorbe le tensioni espressioniste dell’artista austriaco Kubin e
dei tedeschi Kirchner, Nolde ed Heckel della Brücke, gli dà fama a
livello nazionale, facendolo conoscere poi anche in tanti paesi esteri:
Argentina, Austria, Belgio, Cekia, Danimarca, Francia, Germania,
Giappone, Grecia, Inghilterra, Lussemburgo, Messico, Olanda, Paraguay,
Polonia, Portogallo, ex URSS ora Russia, Spagna, Svizzera, Ungheria e
USA, dove ha tenuto tante mostre e sue opere sono state accolte nei
musei locali.
Instancabile disegnatore – aveva sempre
un taccuino in tasca, sui cui fogli annotava le immagini delle sue
emozioni visive –, dopo un inizio indeciso, orientato verso la
sperimentazione di diverse tecniche artistiche, scelse di operare per
cicli: i Mesi, del 1931,
I sette giorni del Diavolo e I
giorni della Creazione, nel 1932,
Danza della Morte e Le
stagioni, nel 1933, lo Zodiaco,
del 1935, Sogni, del 1939, e poi
i Venti, i Tarocchi,
i Proverbi, le Maschere
ecc.
Ha privilegiato la xilografia incidendo
e scavando con sgorbia e bulino tavolette di legno, di testa o di filo,
solitamente di pero perché più dure, per immagini da stampare con
inchiostro nero e talvolta a colori. Il segno è forte, personale,
riconoscibile, per nulla accademico, popolare, talvolta spigoloso con un
caratteristico connotato di uomo di montagna, con bagliori di luce e
macchie scure profonde, che sottendono il colore e si fanno elemento
portante dell’affabulazione estetica e figurativa, talvolta con un
evidente connotato di lirismo.
È un “narratore”, attraverso le
immagini, del suo amato Trentino: incisioni con montagne, boschi,
paesaggi, fiori, fabbriche, uomini dediti al proprio lavoro.
Ha realizzato un migliaio di Ex libris,
ciascuno con dedica a un collezionista o a un bibliofilo.
L’ex libris è un piccolo cartiglio
personale, con fregi e decorazioni, appositamente creato, stampato e
incollato all’interno della copertina di un libro, per attestarne
l’appartenenza alla biblioteca della persona, cui esso è dedicato, in
un’epoca connotata dal culto del libro.
Moltissime sue opere sono uscite in
quotidiani locali e nazionali, su riviste, in tanti libri illustrati, su
copertine e diplomi, in cartelle realizzate appositamente per conto di
enti, associazioni o privati.
Wolf è stato anche pittore. Le sue
campiture precise e le tonalità vive rispecchiano il tempo in cui si è
formato e ha operato, e, se figurativamente ha guardato al ritorno
all’ordine del movimento di Novecento di artisti nazionali come Carrà,
Tosi, Marussig, Casorati, Sironi, Severini, Rosai e alla metafisica di
De Chirico, Savinio e Morandi, la sua produzione non si discosta da
quella di artisti trentini coevi come G. Pancheri, B. Colorio, M.
Bertoldi e C. Seppi.
Sperimentò anche la realizzazione di
opere astratte, ma s’è deciso di non esporle nella mostra al Museo
Diocesano Tridentino.
Vastissima è la sua produzione d’arte
sacra, in tutte le tecniche, ispirandosi alle Sacre Scritture.
Ha realizzato anche vetrate decorative,
stilisticamente e cromaticamente coerenti con le altre sue tecniche
artistiche, per luoghi di culto come le chiese dei Cappuccini, di S.
Pietro e S. Lorenzo, a Trento, e quella della Madonna delle Grazie di
Folgaria.
Ha partecipato alla Biennale
Internazionale d’arte di Venezia degli anni 1942, 1950, 1954 e 1956,
alla VI, VII, VIII e IX Quadriennale d’arte di Roma, alle Internazionali
della Fonderia di Firenze del 1954 e di Roma del 1955, alle Biennali
dell’Incisione Italiana a Venezia e Cittadella, alle Quadriennali d’Arte
di Torino, alle Permanenti di Milano, alle Biennali d’Arte di Verona e
Bolzano, alle Biennali Nazionali di Grafica “A. Martini” di Oderzo, alle
Biennali di Carpi e a tantissime altre mostre in Italia e all’estero,
con una vastissima bibliografia.
Nel 1949 si iscriveva all’Accademia di
Belle Arti di Venezia per frequentare il corso di pittura di Guido
Cadorin e di incisione di Giovanni Giuliani e Virgilio Tramontin.
La costituzione della “Associazione
Incisori Veneti”, nel 1952, promossa da Giorgio Trentin, prima
segretario e poi presidente della Fondazione Bevilacqua la Masa, a cui
aderì anche Remo Wolf, assieme a Tranquillo Marangoni e Mario Dinon,
servì a promuovere la rivalutazione dell’arte incisoria, sia in termini
di mostre che di divulgazione nel mondo dell’arte, dalla scarsa
considerazione in cui era stata relegata dal mondo accademico sino a
tutto l’Ottocento, perché considerata solo una tecnica riproduttiva.
Remo Wolf fu anche promotore di mostre.
Infatti, in qualità di direttore artistico del Centro culturale
“Fratelli Bronzetti” di Trento, organizzò più di cento mostre d’arte,
con la pubblicazione dei relativi cataloghi, e si auspica che gli enti
pubblici trentini promuovano il recupero e la divulgazione di tutta
quell’attività artistica e culturale, svolta per decenni nella bella
sede di via Belenzani.
La mostra al Museo Diocesano Tridentino
La mostra “La mia arte io la
chiamo mestiere. Remo Wolf uomo e artista del ‘900”,
inaugurata il 3 luglio, durerà fino all’8 novembre 2010. Si tiene presso
il Museo Diocesano Tridentino, luogo di arte sacra antica, perché Wolf
ha trattato spesso temi sacri. E poi, tante sue opere facevano già parte
della raccolta d’arte contemporanea del museo, messa insieme da mons.
Giovan Battista Fedrizzi, conservatore del museo dopo la scomparsa del
primo direttore Vincenzo Casagrande.
Mons. Fedrizzi, oltre che amico del
Wolf, che gli dedicò delle xilografie, aveva creato un cenacolo con
alcuni artisti trentini, per portare avanti un’esperienza creativa sul
sacro.
È una mostra retrospettiva, non
un’antologica, organizzata con opere del museo più alcuni prestiti. È
strutturata per sezioni e vuol essere un punto di partenza per un
approccio non solo alla complessità e vastità della produzione artistica
di Remo Wolf, ma anche della sua concezione del mondo, che ben si
rispecchia nel suo vasto archivio di diari, taccuini, epistolari,
disegni e appunti.
Come scrivono le curatrici della
mostra, Domenica Primerano e Riccarda Turrina, questa è un’esposizione
che nasce da un’attenta e approfondita ricerca per inquadrare l’opera
del Wolf “in un più ampio contesto territoriale, storico e artistico”.
Mostra e catalogo, che accoglie diversi
saggi critici, qualcuno anche colloquiale e confidenziale, perché
l’autore conosceva personalmente l’artista, sono quindi l’avvio di un
percorso conoscitivo per ulteriori approfondimenti futuri, oltre che
sull’artista, anche sulla realtà artistica trentina e non solo, in un
secolo cruciale come il Novecento per le due guerre mondiali, la seconda
delle quali segnò profondamente il Wolf, ma anche per tutto quanto ha
caratterizzato i movimenti artistici e culturali. Ciò potrà avvenire
grazie a tutta la documentazione dell’archivio che, si spera, gli eredi
dell’artista vogliano mettere a disposizione degli studiosi.
Sono sei le sezioni in cui è
organizzata la mostra, con i seguenti titoli: Accanto all’uomo; Il tempo
che torna; Dalla finestra; Angoli; Vento d’aquilone; Con una preghiera.
Già i titoli delle sezioni paiono
emblematici per quanto Wolf ha indagato e prodotto nella sua lunga vita
di uomo e d’artista. Insomma, un repertorio ampio e vario che mostra
tutte le sue potenzialità espresse in arte.
Se nella prima sezione la figura umana,
sia maschile che femminile, è rappresentata attraverso la plasticità dei
corpi, la sensualità femminile e gli stati d’animo assorti e pensosi,
nella seconda sezione, ancora l’uomo è immerso nell’ambiente naturale,
in cui si alternano i cicli delle Stagioni e dei Mesi.
La terza sezione privilegia i paesaggi
con sobborghi isolati, alberi, pali della luce e solitarie stradine che
si fanno immagine della malinconia, mentre la quarta è dedicata agli
interni con nature morte, giocattoli, oggetti d’uso quotidiano e tutto
un mondo d’affetti da cui traspare la linfa della quotidianità segreta
dei rapporti umani e familiari nel nido domestico.
Nella quinta sezione sono elementi
fantastici come le maschere, artisti di circo e magie, che propongono
tipologie umane e stati d’animo in un groviglio di stati emotivi in
chiaroscuro.
La sesta e ultima sezione riassume il
sacro popolare, reinterpretato da Wolf e aggiornato al proprio tempo,
alla luce delle letture bibliche che soleva fare per alimentare una
connessione tra essere umano e spiritualità.
La mostra alla Galleria
“Fogolino”
La mostra “Omaggio a Remo Wolf –
Nel segno di Villon” si è tenuta nella Galleria “Fogolino”,
a cura dei colleghi e amici artisti de “La Cerchia”, dall’11 al 30
giugno 2010, che hanno voluto ricordare il compagno di passate
rivendicazioni per l’affermazione dell’arte e collettive organizzate
negli anni trascorsi assieme.
Così avevano fatto per Cesarina Seppi
(Trento, 1919 – 2006), nel novembre 2008, dedicandole la retrospettiva “Omaggio
a Cesarina Seppi - Paesaggio della memoria”,
negli spazi espositivi di Palazzo Thun di Trento, accompagnata, come
omaggio, dalle opere in tema dei 16 artisti de “La Cerchia”.
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Nella primavera-estate 2007, veniva
organizzata una mostra scambio, “Altrove non è un luogo”,
di 16 artisti de la “Cerchia”, con alcuni artisti messicani, con
esposizione prima a Trento e poi a Magdalena de Kino, in Messico, dove
erano esposte anche opere di Remo Wolf, per il quale scrissi
personalmente: “Ha molto dato all’arte e la
sua arte a noi. Le sue opere grafiche sono un punto fermo nella storia
dell’arte trentina. Le sue figure e i suoi paesaggi restano
emblematici”. E la traduzione in spagnolo, di
Leonor Hernández Díaz, diventava il
manifesto della mostra:
“Ha dado mucho al arte y su arte nos ha
dado mucho a nosotros. Sus obras gráficas son un punto de referencia en
la historia del arte trentina. Sus figuras y paisajes siguen siendo
emblemáticos”.
La mostra nel giugno 2010 è stata una
mostra tematica, nata perché lui, nel 1980, aveva inciso 15 tavolette
col titolo “Omaggio a Villon”, stampate poi a due colori, di cui quattro
erano pubblicate, con testo critico di Eros Bellinelli, dalle edizioni
Pantarei di Lugano. Nel 1990, grazie a Piero Nebiolo, editore d’arte per
conto del “Lanzello”, erano pubblicate 46 xilografie di varie dimensioni
come illustrazioni del Testamento,
uscito in 154 esemplari di cui 10 consegnati all’artista. La
collaborazione con Nebbiolo continuava per l’illustrazione di
Lascito, detto anche Piccolo
testamento, delle Poesie diverse
e delle Poesie in argot.
Purtroppo, la morte di Nebbiolo interrompeva il rapporto con Wolf, ma
gli amici dell’editore decidevano di portare avanti lo stesso
l’operazione e le xilografie uscirono con la calcografia Il Pozzo di
Dogliani (Cn), con identico numero di esemplari realizzati in precedenza
da Nebbiolo. In totale, le xilografie realizzate per Villon sono 84. Un
numero veramente elevato, realizzato attingendo anche alle suggestioni
delle pitture medievali con rappresentazioni macabre e infernali,
spiegabile con il fatto che l’opera di François Villon, poeta maledetto
medievale francese e precursore degli artisti maledetti dei secoli
successivi, aveva affascinato Wolf per la descrizione tumultuosa dei
sentimenti peccaminosi a riguardo della carnalità, della stoltezza
umana, dell’assurdità della storia e dell’esistenza, e
dell’inesorabilità della morte. Il tutto contrassegnato da sarcasmo e
ironia.
Le xilografie di Wolf in mostra in
totale erano otto, scelte tra le illustrazioni del Testament.
E in mostra erano anche le opere grafiche in bianco e nero dei 14
artisti del Gruppo “La Cerchia”: Marco Berlanda, Carla Caldonazzi, Livio
Conta, Paolo Dalponte, Francesco Damonte, Bruno Degasperi, Domenico
Ferrari, Adriano Fracalossi, Tullio Gasperi, Carlo Girardi, Pierluigi
Negriolli, Annamaria Rossi Zen, Giorgio Tomasi, Ilario Tomasi ed Elisa
Zeni. Partecipavano alla collettiva, come ospiti, anche tre artisti
sudamericani: Jaime Cruz e Teresa Razeto del Cile e la messicana Eva
Laura Moraga.
Questi artisti si erano ispirati tutti
al Testament di Villon, come
fece Wolf a suo tempo. E le loro opere rispecchiano le differenti
personalità e sono apprezzabili sia per l’esito estetico che per il
contenuto espresso
da ciascuno di loro.
Schede dei
cataloghi
Il catalogo della
mostra “La mia arte io la chiamo mestiere.
Remo Wolf uomo e artista del ‘900”
presso il Museo Diocesano Tridentino, di 400 pagine, curato da D.
Primerano e R. Turrina, illustrato con foto a colori e in bianco e nero
del Fotostudio Lambda di Trento, contiene i testi di L. Maestri,
Assessore alla cultura, turismo e giovani del Comune di Trento, I.
Rogger ed E. Zobele, e i saggi di M. Garbari, R. Gerola, F. Pesci, D.
Primerano, M. Rossi, R. Turrina, P. Viotto e Fortunato Depero. È
stampato nel giugno 2010 da Tipolitografia Editrice Temi s.a.s. di
Bacchi Riccardo & C., Trento.
Il catalogo della
mostra “Omaggio a Remo Wolf - Nel segno di
Villon” presso la
Galleria Fogolino, di 60 pagine, curato da C. Caldonazzi e I. Tomasi,
illustrato con foto in bianco e nero, contiene i testi del Gruppo “La
Cerchia”, di G. Kessler, Presidente del consiglio della PAT, e R.
Francescotti. È stampato nel maggio 2010 da Cromopress, Trento.
(Questo testo è
fruibile nel sito
www.angelosiciliano.com).
Zell, 20 luglio
2010
Angelo Siciliano
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