LE SCARPE DI OBAMA
E finalmente è la volta di Barack
Husseim Obama,
presidente con le scarpe nuove per
il lungo cammino
sintesi intrigante del nero e del
bianco
del caffè col cotone da schiavitù e
razzismo,
evento epocale che arriva a
spiazzare
dopo secoli di soprusi e
disuguaglianze
e allieta le attese di chi si
specchiò
nella disobbedienza civile di
Gandhi
dopo fascismo nazismo imperialismi
allettato poi da J. F. Kennedy il
“berlinese”
prima dello sbarco alla Baia dei
Porci
del napalm e del defoliante sul
Vietnam
e un po’ morimmo tutti con Marylin.
Giovanni XXIII carezzò la luna del
Concilio
in una notte carica di aspettative
e preghiere.
Che Guevara rivoluzionario lo
trucidarono
in Bolivia e fu Cristo del Mantegna
Martin Luther King gridò il sogno
impossibile.
Il tallone sovietico, archiviate le
purghe staliniste,
azzerò nel ’68 la primavera di
Praga
come o peggio che in Ungheria nel
’56 e arse
con Jan Palach non solo l’anelito
dei Cecoslovacchi.
Nelson Mandela si nutrì in carcere
di bocconi
d’Apartheid a liberare il popolo
suo e i neri tutti.
Un fervore ideologico improntò il
Sessantotto
scivolando all’alveo semisommerso
del marxismo
e maturò pure frutti di piombo:
certi riti
mutarono ma tanti altri solo in
apparenza.
A causa dell’impeachment
si dimise Nixon
per lo
scandalo Watergate ma la Cia
fece in tempo per mano di Pinochet
a seppellire
Salvador Allende nel Palazzo della
Moneda.
Gli yuppy rampantisti reaganiani
cominciarono
a soffiare nella bolla finanziaria
facendo adepti
e avrebbero proseguito poi
deregolati con bond,
mutui
subprime
titoli tossici e carta straccia
facendosi beffa di chi i beni se li
sudava.
A Tienanmen furono massacrati
studenti
e tanti operai compagni che
invocavano libertà
e democrazia da tempo, quanti non si sa.
E crollò il muro di Berlino prima
della guerra
jugoslava con massacri fratricidi
per odio secolare.
La bolla finanziaria immobiliare è
deflagrata nel 2008
con effetti planetari sui ricchi e
tragedia per i poveri.
Per le sue bugie, a George Dabliu
Bush
le scarpe non gliele hanno fatte,
gliele hanno
tirate come le bocce all’uomo nel
gabbiotto
di un Luna park dell’Ottocento:
tanto ha osato
un reporter iracheno che anziché
intervistarlo
ha fatto il tiro a segno ma da ex
praticante di football
il Dabliu abile s’è chinato e le ha
schivate.
Obama fallirà se deflette
dall’annunciata
politica del cuore e dall’ambiente
da salvare
e non spegne conflitti avviati e
altri in agguato.
Le sue scarpe scalciano le
malefatte di tanti e di Bush
che confida nella clemenza postuma
della storia.
Krotone, 20
febbraio 2009
Angelo
Siciliano
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Obama dopo Bush
Il 20 gennaio 2009 si è insediato
ufficialmente alla Casa Bianca Barack Hussein Obama, 44° Presidente
degli Stati Uniti, eletto per il Partito Democratico il 4 novembre
2008. Il suo giuramento si è dovuto ripetere l’indomani in privato,
perché quello ufficiale non era stato conforme alla formula rituale.
Figlio di un nero del Kenya e di una bianca del Kansas, è il primo
presidente di colore. Una grande folla euforica ha festeggiato
l’evento trasmesso dalle tivù di tutto il mondo.
Piuttosto mesto l’addio del Presidente repubblicano uscente, George
Dabliu Bush, che si è involato con la consorte in elicottero, dopo
aver salutato il suo successore, che ha preannunziato una serie di
provvedimenti nel segno del cambiamento. Il primo mandato di
Bush nel 2000, dopo una lunga, controversa e allucinante riconta dei
voti che aveva fatto parlare di brogli, era stato segnato
dall’attentato dell’11 settembre 2001, che ebbe come conseguenza la
guerra in Afghanistan.
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E se questa era giustificata dal
fatto che dovevano essere annientati i talebani e Bin Laden,
mandante dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono, la
successiva guerra in Iraq, nel 2003, motivata da informative Cia
risultate poi false, secondo cui il dittatore Saddam Hussein stava
preparando l’atomica e ospitava terroristi islamici, è stata
devastante per il numero di morti provocati – circa un milione di
iracheni e oltre 4000 soldati americani – e per le finanze Usa: 1000
miliardi di dollari come incremento del debito pubblico, per un
costo di 20.000 dollari per famiglia americana. Così il deficit
dell’Unione è cresciuto enormemente sotto la sua presidenza, dopo il
pareggio di bilancio raggiunto in precedenza sotto la presidenza del
democratico Clinton. Va ricordato che la
prima guerra a Saddam Hussein, la Guerra del Golfo, la promosse Bush
senior, successore di Reagan e padre di Dabliu Bush.
Sempre Bush, nel 2001 rifiutò la
firma al trattato di Kyoto contro il surriscaldamento del pianeta e
in seguito prese numerose iniziative, tutte nella direzione
contraria alla salvaguardia dell’ambiente, alla salute delle
persone, alla tutela delle specie animali a rischio di estinzione,
alla protezione delle risorse naturali e alla cooperazione
internazionale per l’ambiente. Il tutto a beneficio delle
multinazionali della finanza e dei prodotti petroliferi, della
produzione industriale senza controllo e del consumismo sfrenato. E
ora che se ne è andato circolano voci che i prigionieri venissero
torturati fuori dal territorio americano per conto della sua
amministrazione.
Era a favore della pena di morte.
Nel 2000, mentre ne era governatore, il Texas giustiziò 40 persone.
Record Usa dal 1930.
Ha lasciato a Obama un’eredità
pesante: la guerra in Iraq da chiudere, qualche fallimento bancario,
il crollo dei consumi e tante fabbriche chiuse o in crisi, con
milioni di americani che hanno perso o perderanno il lavoro. E le
banche sequestrano le case, perché i lavoratori non sono più in
grado di rimborsare i mutui. Il tutto provocato dalla deflagrazione
della bolla finanziaria immobiliare nel 2008, per via dei “mutui
subprime”, concessi senza prudenza
e adeguate garanzie a chi voleva acquistare una casa, da cui hanno
originato i “titoli tossici” finiti poi nei portafogli di tante
banche nel mondo globalizzato. E per questo la crisi, paragonata a
quella del 1929, si è estesa ai paesi dei vari continenti. Ma essa
viene da lontano e trae origine dalla deregulation del credito.
Infatti, fu il Presidente Reagan – sempre un repubblicano – a
cancellare nel 1980 l’impegno governativo a controllare e
pianificare l’economia, riducendo le imposte e le regolamentazioni,
consentendo agli operatori del mercato della finanza di
autoregolarsi. Curiosamente, durante la cerimonia d’insediamento,
Reagan espresse le sue convinzioni economiche con questa frase: «Il
governo non è la soluzione del nostro problema, il governo è il
problema». E già negli anni Ottanta, tanti yuppi che si muovevano
nella finanza allegra, finivano col sedere per terra e dovevano poi
vendere la propria villa, la barca e l’auto di lusso.
A Dabliu Bush, che nel dicembre
2008 faceva la sua ultima visita in Iraq, durante una conferenza il
reporter iracheno Mountazer Al Zaidi lanciava le sue scarpe
gridandogli: «Questo è un addio dal popolo iracheno, cane». Un gesto
simbolico, che nella tradizione araba equivale al massimo disprezzo,
contro l’imperialismo che ha provocato tanti morti in Iraq. Bush,
che ha schivato le scarpe, ha definito l’incidente “episodio
bizzarro”. Non immaginando che Al Zaidi, che un tribunale iracheno
ha poi condannato a tre anni di carcere, è un nuovo eroe dell’Islam.
Ma le scarpe lanciate a Bush non
sono le uniche a far capolino nella storia e nella politica.
L’episodio di Nikita Krusciov, leader sovietico che percuote con la
scarpa il banco alle Nazioni Unite è un’icona del ventesimo secolo.
Ma al riguardo c’è alquanta confusione. Secondo alcuni l’episodio è
del ‘56, secondo altri del ‘59, ma la maggior parte indica settembre
o ottobre del 1960. A riguardo di chi avesse provocato la reazione
di Krusciov, alcuni indicano Maurice Harold McMillan, premier
britannico, altri John George Diefenbaker, premier canadese, altri
ancora Dag Hammarskjöld, segretario generale dell’ONU, e infine si
fa il nome di Lorenzo Sumulong, delegato filippino.
Anche nel Parlamento italiano, il
14 novembre 2007, si è levata una scarpa: quella del senatore
Maurizio Saccone di Forza Italia, picchiata furiosamente sul banco,
per protesta contro la “class action” durante la seduta per
l’approvazione della finanziaria del governo Prodi.
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In ricordo di Gandhi
All’inizio di marzo 2009 sono
stati venduti all’asta dallo Antiquorum Auctioneers di Manhattan a
New York alcuni oggetti personali, appartenuti al
simbolo dell’indipendenza indiana
Mohandas Karamchand Gandhi: gli
occhiali di metallo dorato immortalati in tante foto, dei sandali di
pelle consunti dall’uso, un orologio Zenith da tasca del 1910 con i
numeri grandi un po’ scrostati, una tazza e un piatto di metallo. Al
lotto sono stati aggiunti gli esami del sangue fatti da Gandhi all’Irwin
Hospital di Delhi e un telegramma autografo. Questa vendita ha
scatenato un’ondata di sdegno in India. Come se stessero vendendo un
pezzo dell’anima indiana, perché Gandhi è considerato il “Padre
della nazione” e il 2 ottobre, giorno della sua nascita, è festa
nazionale. L’Assemblea generale dell’Onu l’ha dichiarato “Giornata
internazionale della nonviolenza”.
Gandhi, che Winston Churchill
chiamava con tono sprezzante “disgustoso e fachiro seminudo”, a
parte i pochi oggetti che indossava, era assolutamente contro il
possesso di beni e il materialismo, ed era visto come un eremita.
Predicava che solo un distacco dalle necessità materiali potesse
portare sulla via della verità, verso Dio. Praticava in casa la
tessitura dei propri vestiti, il
khadi,
usando un filatoio manuale, il
charkha.
A salvare l’onore indiano, però, ci
ha pensato Vijay Mallya, magnate indiano che si è aggiudicato gli
oggetti personali di Gandhi per 1,8 milioni di dollari per
riportarli in patria.
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Gandhi (Portbandar 1869 – 1948
New Delhi), è detto Mahatma,
appellativo che in sanscrito sta per “grande anima”, datogli dal
poeta indiano
Rabindranath Tagore.
Costretto a sposare a 13 anni, con
un matrimonio combinato, la coetanea Masturba Gandhi, ebbe quattro
figli maschi. Ma lui disapprovava l’usanza dei matrimoni infantili e
all’età di 36 anni rinunciò ai rapporti sessuali, e, sebbene
sposato, abbracciò la castità e in seguito divenne vegetariano
praticando spesso lunghi periodi di digiuno.
Ha influito sulla storia del mondo,
dando una coscienza nazionale a un grande popolo, qual è quello
indiano, lottando per l’indipendenza dell’India dalla Gran Bretagna.
Una lotta particolare, la sua, fatta di disobbedienza civile,
digiuni, marce pacifiste, resistenza passiva, scioperi fiscali.
Asceta e appassionato studioso delle religioni, Gandhi è il profeta
della nonviolenza. È stato pioniere e teorico del
satyagraha,
fondato sulla
satya,
verità, e sull’ahimsa,
nonviolenza, la resistenza
all’oppressione tramite la disobbedienza civile di massa.
Non ricoprì cariche istituzionali.
Nel 1947 la Gran Bretagna nominò
viceré e governatore generale delle indie
Lord Mountbatten, col difficile
incarico di concedere l’indipendenza alla sua colonia. Per evitare
una guerra civile tra mussulmani e indù furono creati due stati: il
Pakistan e l’India. La spartizione prevedeva per l’India l’obbligo
di pagare 550 milioni di
rupie indiane al Pakistan. E vi era
poi la questione del territorio del Kashmir, a maggioranza
mussulmana, passato con l’India, che ancora oggi alimenta tensioni e
rischi di guerra tra i due stati. Le controversie politiche e
territoriali portarono nel 1947 alla
guerra indo-pakistana.
Nel 1948 Gandhi fu assassinato con
tre colpi di pistola da
Nathuram Godse, un fanatico
indù radicale legato al gruppo
estremista indù
Mahasabha, perché lo riteneva
responsabile dei presunti cedimenti al nuovo governo del Pakistan e
alle fazioni mussulmane, e del pagamento del debito dovuto al
Pakistan.
Due milioni di indiani
parteciparono ai suoi funerali e in base alla sua volontà, le sue
ceneri furono distribuite tra varie urne e disperse nei maggiori
fiumi del mondo tra cui il
Nilo, il
Tamigi, il
Volga e il
Gange. Il
30 gennaio
2008, ricorrenza del sessantesimo
anniversario della sua morte, sono state disperse nel mare davanti a
Mumbay (Bombay) le ceneri contenute
nell’ultima urna ancora non svuotata.
Il suo rifiuto per ogni forma di
violenza lo aveva fatto schierare contro la Legge del taglione,
“Occhio per occhio, dente per dente”, e il suo motto era “Occhio per
occhio... e il mondo diventa cieco”. Con le sue azioni ha ispirato
molti movimenti di difesa dei
diritti civili e le battaglie per i
neri di Martin Luther King, la lotta all’apartheid di Nelson Mandela
e il pacifismo del Dalai Lama.
(Questo scritto è nel sito
www.angelosiciliano.com).
Krotone, 15 marzo
2009
Angelo Siciliano
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