Santorossi
Egologo-site specific works
Mostra estiva a Castel Pergine
Il 19 aprile 2008 si è
inaugurata al Castello di Pergine
Valsugana (Tn) la 16ª mostra estiva, che resterà aperta fino a
novembre. Quest’anno è dedicata all’opera dell’artista trevigiano
Santorossi, scelto dal critico Franco Batacchi e da Verena Neff e Theo
Schneider, gestori-mecenati dell’albergo-ristorante ubicato nel
suggestivo castello medievale, che in questi mesi è stato sottoposto a
opera di consolidamento dei muri di cinta, a restauro dei tetti e a
messa a norma di sicurezza della struttura edificiale.
Gli artisti ospitati
negli anni passati sono stati: Fabrizio Plessi, Davide Scararabelli,
Toni Benetton, Giorgio Celiberti, Riccardo Licata, Carlo Lorenzetti,
Mauro Staccioli, Francesco Somaini, Pino Castagna, Michael Deiml,
Eduard Habicher, Piera Legnaghi, Romano Abate, Annamaria Gelmi e Nane
Zavagno. Tutti con un ampio curricolo alle spalle, noti nel mondo
dell’arte e largamente editati e antologizzati.
Santorossi, artista
attivo dal 1970, nel 1993 partecipò alla XLV Biennale di Venezia. Ha
tenuto numerose mostre personali e ha partecipato a tante collettive
in questi anni.
Questa mostra rientra
negli eventi collaterali di “Manifesta 7”, Biennale europea di arte
contemporanea itinerante, che ogni anno si realizza in un paese
diverso. Quest’anno è stata scelta l’Italia e, relativamente alla
regione Trentino Alto Adige, si terranno mostre a Fortezza, Bolzano,
Trento e Rovereto.
Dopo molti giorni di
pioggia, il tempo è stato clemente e, anche questa primavera, la
pervinca nana, che tappezza le pendici boscose del castello, si è
manifestata con un’esplosione di fiori blu, cromia che Santorossi non
predilige per le sue opere. Lui è un artista concettuale e la
sua opera si presenta articolata e complessa, e come gli artisti degli
anni scorsi, fatta eccezione di Riccardo Licata, che scelse di esporre
opere già realizzate in precedenza, ha creato opere nuove, grandi
sculture e installazioni progettate appositamente per i differenti
ambienti esterni o interni del castello, allo scopo di coinvolgere e
interagire emotivamente con i visitatori, certamente non sprovveduti,
per stupirli, incuriosirli e suscitare in loro reazioni anche
contrastanti. Opere prodotte per questa esposizione e disposte a
ridosso dei muri di cinta del castello, nel cortile e nelle sale
interne. Ma anche gigantografie, con busti o figure intere maschili o
femminili in tricromia rosso-nero-bianco, attaccate sui muri esterni e
visibili a qualche chilometro di distanza dalla superstrada che
proviene da Trento. È come se più identità artistiche avessero ideato
e creato le numerose opere qui esposte, e questo perché si è inteso
proporre un percorso antologico dell’artista. Il tutto origina dal
titolo dell’esposizione: SANTOROSSI Egologo. Infatti, esso
sottintende una complessa autoanalisi, col ricorso alla sociologia e
alla psicoanalisi, in cui si mescolano ironia e autoironia,
comunicazione di massa e uso di immagini demistificate degli
stereotipi della società consumistica.
Il ricorso a un
particolare materiale plastico di tipo industriale, per la produzione
seriale delle immagini pittoriche, alcune delle quali si rifanno alla
pubblicità con i volti di Elvis Presley e Sharon Stone, fa accostare
Santorossi a certi archetipi dell’arte pop americana, di Andy Warhol
innanzitutto, e dell’italiano Marco Lodola, l’artista dei
pannelli ritagliati di plexiglas policromo per le sue figure sagomate,
alcune delle quali sono scatole illuminate dall’interno da una luce
fredda, e che da qualche anno utilizza tubi luminosi simili a quelli
delle luminarie di Natale.
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Le installazioni di
Santorossi ideate per Castel Pergine sono alquanto varie, con un largo
impiego di materiali industriali e nuove tecnologie. L’obiettivo è di
indagare e mostrare gli effetti della pubblicità nelle comunicazioni
di massa sull’individuo. Si va dalla “Fiat 500”, mito degli anni
Sessanta, elevata sopra un alto piedistallo a monumento nostalgico, a
normali abiti inamidati con resine ipossidiche per metaforici
guardaroba, all’ipotetica libreria d’artista, allo scaffale-scarpiera
con scarpe di colori vivi e brillanti, entrate ormai nell’uso dei
giovani consumatori, a una sorta di scacchiera con nove computer
bianchi. Vi è poi un gruppo di sassi, prelevati dal greto del Piave,
fissati in cima ad aste metalliche filiformi, con rimandi all’arte di
Brancusi, Arp e Viani. Anche le terapie di coppia, quelle di coppia in
gruppo e il training autogeno di gruppo, cui fa tanto ricorso l’uomo
di oggi, sono alluse con l’installazione di alte sedie metalliche
doppie e sedie singole in circolo, dove non manca la sedia bianca
riservata allo psicoterapeuta. E poi c’è da sbizzarrirsi con una lunga
serie di opere, differenti tra loro e cariche d’ironia, negli angoli
impensati del castello: un irridente “Cappuccetto Rosso”; dei “Rospi”
di plastica con scintillanti cromie bagnate, che anche se baciati non
diventeranno principi; un “Giardino incantato” policromo e
bidimensionale; “Fantasmini” come ectoplasmi piatti; un impermeabile
scuro titolato “Autoritratto”; un “Acquarium” di pesci a goccia e
strani ippocampi che nuotano nell’aria; un surreale arco di “Trionfo”;
“Filodendri” giganti e “Boschetti” simbolici policromi di figure
geometriche filiformi; “Fiori” e “Ghirlande” costruiti con sequenze di
petali policromi giganti o figure geometriche policrome. L’autoironia,
invece, campeggia in due installazioni nel cortile del castello:
“Stinco di Santo”, dove Santo sta per l’artista e un grosso osso
campeggia su una sorta di altare, più pagano che cristiano, come una
reliquia, unitamente a delle piccole teche trasparenti con altri ossi;
“Rinascita”, una tomba metaforica con lapide con la scritta
‘SOPRATTUTTO SOTTO NIENTE’, un’urna con l’EGO e tre date fatidiche: il
1988, quando Santorossi cambiò nome e stile passando dal figurativo
piacevole a un nuovo tipo di arte; il 2001, anno in cui mollò tutto
per una personale crisi esistenziale; il 2002, anno in cui ha ripreso
a fare arte con nuova lena.
Il cortile interno
del castello era affollato di persone, accorse per l’inaugurazione
anche dall’estero, e alcune si erano candidamente issate sulle alte
seggiole dell’installazione per la terapia di gruppo.
Dopo la presentazione
della mostra da parte di Verena Neff, del sindaco di Pergine Renzo
Anderle e di Franco Batacchi, si è esibito l’artista vocale Bruno
Amstad, venuto dalla Svizzera, che modula la sua voce gutturale, da
moderno neandertaliano, utilizzando un’apparecchiatura elettronica
sofisticata, con rimandi ai richiami cantilenati ai fedeli da parte
del muezzin dal minareto e alle intonazioni dei monaci tibetani, il
tutto trasformato e distorto con echi profondi calcando con un piede i
tasti di una piccola pedana.
Chiudeva il pomeriggio
un gradevole rinfresco, con un buffet apparecchiato con specialità
locali.
A Castel Pergine, nel
perpetuo rinnovamento, l’incanto dell’arte si ripete ogni primavera. È
un luogo unico in Italia, dove dei privati riescono a ripetere delle
mostre importanti negli anni, che si caratterizzano per la costanza e
l’alto livello qualitativo delle esposizioni organizzate. E la
gentilezza di Verena Neff e Theo Schneider sono un valore aggiunto. (Questo articolo è nel sito
www.angelosiciliano.com).
Scheda del catalogo
Il catalogo, di 120 pagine, curato da
Franco Batacchi, Theo Schneider e Verena Neff, illustrato con foto a
colori di Theo Schneider, contiene i testi del sindaco di Pergine, del
vicepresidente e Assessore alla Cultura della Provincia Autonoma di
Trento Margherita Cogo e del critico Franco Batacchi. È stampato da
Publistampa Arti grafiche di Pergine Valsugana nel 2008. Il prezzo è
di € 20.
Zell, 22 aprile
2008
Angelo Siciliano
MEMORIA CONTADINA
Mostra del Gruppo di Artisti
trentini “La Cerchia” a Palazzo Trentini
Dal 14 dicembre 2007
al 12 gennaio 2008 si è tenuta una mostra collettiva di pittura del
Gruppo di Artisti trentini “La Cerchia” negli spazi espositivi di
Palazzo Trentini di Trento, sede della Presidenza del Consiglio
provinciale. Tullio Gasperi, Carlo Girardi, Mario Matteotti, Eva Laura
Moraga, Pierluigi Negriolli, Lina Pasqualetti, Annamaria Rossi Zen,
Giorgio Tomasi, Ilario Tomasi, Remo Wolf, Marco Berlanda, Carla
Caldonazzi, Livio Conta, Franco Damonte, Bruno Degasperi, Domenico
Ferrari e Adriano Fracalossi hanno proposto delle opere ispirate al
tema della “Memoria Contadina”.
Il mondo contadino – è
risaputo – non è più quello che gli anziani, ultimi referenti di una
civiltà tramontata qualche decina di anni fa, ricordano e raccontano
con nostalgia. Oggi, vivere in una moderna e attrezzata casa di
campagna, non è molto differente da come si vive in un alloggio
urbano. Ciò che permane diverso è il contesto, ma il paesaggio rurale
è cambiato molto in questi anni e l’attività agricola è completamente
meccanizzata. Una macchina fa il lavoro di dieci o cento braccianti di
una volta, anche se l’intervento umano resta imprescindibile.
Gli artisti de “La
Cerchia”, non avendo l’opportunità di attingere a una realtà contadina
arcaica “in posa”, come capitava in passato, per rappresentarla non
potevano dipingerla en plain air e allora han dovuto far
ricorso alla memoria. Quindi, le opere che hanno prodotto, nelle
personali e differenti cifre stilistiche, sono come dei flash, delle
citazioni, delle composizioni rievocative, che ci riportano, senza
mitizzarlo, un mondo contadino ovattato o sommerso nella
sedimentazione dei ricordi. Ma ogni rievocazione, inevitabilmente, si
ammanta di tristezza. Una sensazione che si stempera in malinconia per
un mondo quasi immutabile, tramandato per secoli, che non potrà più
tornare. L’arte, allora, assurge a piacevole pretesto per giocare con
i sentimenti e provare a intrigare ancora una volta l’immaginario
collettivo. (Questo articolo è nel
sito www.angelosiciliano.com).
Scheda del catalogo
Il catalogo, di 48 pagine, illustrato
con immagini a colori, contiene la presentazione di Dario Pallaoro,
Presidente del Consiglio Provinciale della PAT, e i testi critici di
Andrea Zanotti e Claudia Gosetti. È stampato dalla Tipografia Alcione
di Trento nel 2007, per conto della Presidenza del Consiglio della
Provincia autonoma di Trento.
Zell, 10 gennaio
2008
Angelo Siciliano
DEPERO PUBBLICITARIO
Mostra retrospettiva al Mart
di Rovereto
Al grande artista
futurista trentino Fortunato Depero (Fondo-Tn 1892 – Rovereto 1960), è
stata dedicata dal Mart di Rovereto un’ampia retrospettiva, da ottobre
2007 a febbraio 2008, che presentava al pubblico un notevole numero di
locandine, manifesti, schizzi e disegni. È stata l’occasione per
presentare e far conoscere, in modo esauriente, non solo la
straordinaria creatività di questo artista di livello internazionale,
ma anche la persistente attualità degli esiti della sua ricerca
grafica con finalità pubblicitarie.
Alla fine della prima
guerra mondiale, Depero inaugurava a Rovereto la Casa d’Arte
Futurista, un laboratorio in cui si lavorava alle arti applicate per
il design e la pubblicità. Ma nel 1913 era entrato in contatto con
Balla, Martinetti e Cangiullo. Nel 1914 aveva partecipato
all’Esposizione Futurista Internazionale, organizzata da Sprovieri, a
cui partecipava il meglio dell’avanguardia artistica: Kandinskij,
Archipenko, Martinetti, Cangiullo, Balla, Martini, Prampolini e
Sironi. Nel 1916 aveva realizzato per Diaghilev, impresario dei
Balletti Russi, la scenografia e i costumi per Le chant du Rosignol,
musicato da Strawinskij, che purtroppo non sarebbe stato
rappresentato. Grazie a Diaghilev aveva conosciuto il ballerino
Massine, il poeta Cocteau e alcuni artisti, tra cui Picasso, Larionov
e la Goncharova. Grazie al poeta svizzero Gilbert Clavel, è introdotto
nel clima magico della Metafisica, come attestano le illustrazioni del
libro Un istituto per suicidi e la rappresentazione teatrale
I Balli plastici. Nel 1923 espone a Monza e nel 1925 è alla
Internazionale di Parigi con Balla e Prampolini. Nel 1928 si reca a
New York, città ideale per il mito futurista, dove lavora per le
scenografie teatrali e per la pubblicità, ma il mercato americano non
compera opere dell’avanguardia, perciò nel 1930 rientra in Italia,
oberato da seri problemi economici, e torna a vivere a Rovereto.
Nonostante la sua Casa d’Arte Futurista sia chiusa ormai da anni, è
sempre vivo in lui l’interesse per l’arte applicata e riceve
importanti commissioni.
Nel 1931 Depero, nel
manifesto Il futurismo e l’arte pubblicitaria, proclama che
l’arte del futuro sarà pubblicitaria e il tal senso è un anticipatore
di quanto avverrà successivamente.
Dal 1947 al 1949
soggiorna di nuovo negli USA. Rientrato a Rovereto, si dedica alla
pittura e riceve importanti commissioni pubbliche, come la decorazione
della Sala del Consiglio Provinciale di Trento. Nel corso degli anni
Cinquanta vive isolato dal dibattito artistico internazionale, come
d’altronde gli altri futuristi italiani rimasti fedeli ai principi
teorici del movimento.
Nel 1957, il comune di
Rovereto gli offre uno spazio pubblico e un vitalizio, in cambio del
lascito delle opere ancora in suo possesso. Nel 1959 è inaugurata La
Casa Museo Depero, il primo museo futurista italiano, una specie di
“opera d’arte totale”, perché l’artista decora tutte le sale, crea gli
arredi, i disegni, i dipinti, gli arazzi e i progetti d’architettura.
Il 29 novembre 1960 l’artista muore.
Per anni Depero ha
proceduto su due strade parallele: da una parte dipingeva quadri
d’arte futurista e dall’altra realizzava opere grafiche per
pubblicizzare i prodotti industriali. E su questa seconda via, quella
dell’arte applicata, ha dato un contributo formidabile allo sviluppo
della pubblicità moderna, intesa come architettura pubblicitaria. Per
Depero non esistevano confini tra arte propriamente detta e le arti
minori, dette applicate. Per lui si trattava di una continua osmosi di
motivi iconografici e stilistici che migravano liberamente dall’arte
maggiore a quelle minori e viceversa, realizzando la sua personale
idea di un’estetica globale futurista, che gli consentiva di acquisire
uno stile unico, senza confronti nei primi decenni del Novecento.
(Questo articolo è nel sito
www.angelosiciliano.com).
Scheda del catalogo
Il catalogo, di 463 pagine, illustrato
da un ricco apparato di immagini a colori e in bianco e nero, contiene
testi delle curatrici della mostra Gabriella Belli e Beatrice Avanzi,
del presidente del Mart Franco Bernabè, di Serena Aldi e Nicoletta
Boschiero. È edito da Skira editore (www.skira.net),
Ginevra-Milano, in ottobre 2007.
Zell, 20 febbraio
2008
Angelo Siciliano
ΕÍΚÓΥЄΣ – ICONE
Tradizione bizantina e
spiritualità di Locri-Gerace
Mostra a Palazzo Trentini di
Trento
Dal 5 al 15 marzo
2008, si è tenuta a Palazzo Trentini di Trento la mostra
Είκóυєς, un’esposizione di
icone, splendide nelle cromie e per fattura e di forte impatto visivo
e spirituale, realizzate dalla scuola “La Glikophilousa”, Laboratorio
di Spiritualità e Tecnica dell’Icona, sorta nel Piccolo Eremo,
d’ispirazione basiliana, delle Querce in Santa Maria di Crochi nella
diocesi Locri-Gerace, nel silenzio solitario dell’Aspromonte. La
creazione di questo laboratorio è stata incoraggiata dall’arcivescovo
P. Giancarlo Maria Bregantini, passato ora a dirigere la diocesi di
Campobasso-Boiano. Ma Mons. Bregantini, per la rinascita di questa
parte della Calabria e il suo affrancamento dalla ‘ndrancheta,
si è molto adoperato in questi anni non solo con l’attività pastorale,
ma anche con la promozione di cooperative per la produzione e
commercializzazione dei piccoli frutti, dell’olio extravergine d’oliva
e delle arance, aiutato in questo dalla Federazione Trentina delle
Cooperative. Molti giovani del luogo hanno potuto trovare così una
fonte di reddito certa e onesta.
Grazie all’impegno
profuso dalla comunità delle Sorelle di Gesù, “La Glikophilousa” è
diventata un’apprezzata scuola d’iconografia con agganci anche a
livello nazionale. Lo spirito che la anima è di “trarre memorie
dall’empatia affettiva del popolo, sempre presente negli avvenimenti
riguardanti le icone”. È sempre esistita una Calabria bizantina,
derivazione di Costantinopoli. Basti pensare alla “nave” di roccia di
Santa Severina e alla sua storia, al Codice Purpureo di Rossano, e ora
questa scuola le dà lustro e sostanza, perché opera nell’attualità, ma
con attenzione al passato, tra arte e mistero, bellezza e
trascendenza, teologia e spiritualità. Il credente attuale, che è
condizionato da un bombardamento continuo di immagini e notizie, può
essere stimolato e aiutato nella propria vita spirituale, grazie alla
visione di opere sacre che esprimono il mistero senza nasconderlo.
Le 68 icone esposte a
Palazzo Trentini provenivano tutte dal Laboratorio de “La
Glikophilousa” e sono riproduzioni di antiche icone bizantine oppure
ad esse ispirate. Sono straordinarie nel mistero rappresentato,
splendide nelle scene sacre e luminose nei colori. In esse l’anima può
rispecchiarsi. (Questo articolo è
nel sito www.angelosiciliano.com).
Scheda del catalogo
Il catalogo, di 94 pagine, illustrato
con immagini a colori, contiene i testi di Dario Pallaoro, presidente
del Consiglio provinciale della PAT, di Mons. Giancarlo Bregantini,
Arcivescovo di Campobasso-Boiano (già di Locri-Gerace fino al 2007),
di Mons. Luigi Bressan, Arcivescovo di Trento, di suor Renata Bozzetto
e suor Rossana Leone della Comunità monastica femminile basiliana, le
“Sorelle di Gesù”. Curato da Claudia Gosetti è stampato nel 2008 da
Litografica Editrice Saturnia – TN, per conto del Comitato Diocesano
Trentino Locride e de “La Glikophilousa” Laboratorio di Spiritualità e
Tecnica dell’Icona, con il patrocinio della Presidenza del Consiglio
della Provincia autonoma di Trento.
Zell, 16 marzo
2008
Angelo Siciliano
IL LAVORO SULLA TERRA DEI
MONTI
di Carlo Sartori
Mostra a Palazzo Roccabruna di
Trento
Dal 1 al 22 marzo
2008, si è tenuta nei locali al primo piano di Palazzo Roccabruna di
Trento, una mostra antologica di Carlo Sartori, con opere realizzate
dal 1962 al 2006.
Da oltre quarant’anni
il modo di dipingere di Sartori appare immutabile, fatto di forme
essenziali, di soggetti popolari, ambienti domestici, contesti rurali
e montani diventati nel tempo gli archetipi di un mondo che non c’è
più: quello della civiltà contadina di montagna. È come se questo
mondo si fosse cristallizzato nella sua memoria e lui ha continuato a
proporlo ripetendolo, in modo ossessivo, con poche varianti negli
anni. Le tonalità dei rossi, dall’arancio al vermiglio, sono una
costante dei suoi quadri, che appaiono illuminati da una luce
particolare, irreale o addirittura artificiale. La scena rappresentata
è quasi sempre osservata dall’alto, a volo d’uccello, come per
sorprendere i soggetti ed evitare che si mettano in posa. Le sue
figure, che siano uomini o donne, e anche gli animali domestici
appaiono bloccati nei movimenti, quasi fossero omuncoli o donnette e
bestie plasmati in argilla, poi dipinti a forti cromie e collocati
nella scena. E, in effetti, ogni quadro sembra la scena a sé stante di
un presepio popolare immaginario mai concluso, non accattivante, anzi
con i connotati di uno stupore grottesco, a cui Sartori si è dedicato
instancabilmente per decenni. Si potrebbe considerare, quella di Carlo
Sartori, un’arte che privilegia un innato senso artigianale, nel senso
proprio del termine di chi si è dotato di un mestiere e lo esercita
caparbiamente, anche quando altri si godono la pensione. Uno stile
sicuramente personale e unico nel suo genere, appartenente a un
panorama artistico che una volta era definito naïf.
(Questo articolo è nel sito
www.angelosiciliano.com).
Scheda del catalogo
Il catalogo, di 100 pagine, illustrato
con immagini a colori, contiene i testi di Margherita Cogo,
Vicepresidente e assessore alla cultura della Provincia Autonoma di
Trento, e di Giovanna Nicoletti. È stampato nel 2008 da Tipografia
Editrice Temi sas di Bacchi Riccardo & C. – Trento, per conto della
Provincia Autonoma di Trento.
Zell, 20 marzo
2008
Angelo Siciliano
LA FORMA E IL COLORE NELLA
PITTURA
di Atanasio Soldati
Mostra alla Galleria Il
Castello, Studio Arte Contemporanea di Trento
Dal 29 marzo al 4
maggio 2008, si è tenuta presso la Galleria Il Castello, Studio Arte
Contemporanea di Trento, una retrospettiva di Atanasio Soldati (Parma
1896-1953), che seguiva un’altra mostra dedicatagli in precedenza a
Legnago, nella Galleria Risorgimento. Soldati, assieme a Fontana,
Licini e Melotti, è un importante maestro dell’astrattismo italiano,
vissuto in povertà e pressoché dimenticato in questi ultimi decenni.
La XXVI Biennale di Venezia del 1950 gli dedicò una sala che era già
seriamente malato.
Proveniva
dall’architettura e gli erano innati il senso della prospettiva, dei
volumi e della geometria, che Carlo Belli, teorico del gruppo di
artisti astratti, nel suo libro Kn avrebbe inteso come
aspirazione umana tra le più alte, che con le sue leggi impedisce alla
fantasia di scadere nell’arbitrario.
Soldati ebbe modo di
vivere e confrontarsi con correnti artistiche in continuo fermento,
soggette a cambiamenti di rotta come il futurismo e la metafisica, e,
sulla scia di quanto avevano fatto in Europa Kandinskij e Mondrian,
fece suo il linguaggio astratto diventandone un esponente di prima
grandezza. Il suo linguaggio è essenziale, analitico, ordinato secondo
gli armoniosi rapporti propri della geometria. Per Soldati, l’artista
non ha il compito di esprimere dolore o felicità, né altre sensazioni.
Le forme e i colori dell’arte astratta hanno una loro concretezza e
vanno al di là di un’interpretazione visiva o psicologica. La sua arte
è essenziale, tende alla purezza formale e, anche quando è evidente un
qualche accenno figurativo, non giunge al tradimento del linguaggio
geometrico. La sua pittura, come scriveva Gillo Dorfles, è un esempio
di come un linguaggio figurativo possa astrarsi dall’oggetto.
La mostra di Trento
proponeva solo qualche quadro ad olio. Per lo più le opere esposte
erano schizzi, disegni a matita o a china, pastelli e acquarelli,
realizzati di getto, talvolta anche su supporti cartacei di fortuna. E
queste opere, proprio per questo, risaltano nella loro schiettezza e
immediatezza espressiva da sembrare poesie visive per il fruitore.
(Questo articolo è nel sito
www.angelosiciliano.com).
Scheda del catalogo
Il catalogo, di 60 pagine, illustrato
con immagini in bianco e nero e a colori, contiene il testo critico di
Pier Antonio Trattenero. Curato da G. Duffini, con la collaborazione
di F. Righi, è stampato nel 2008, col patrocinio della città di
Legnago, dalla Tipografia Grafiche Stella – Legnago (Vr), per conto
della Galleria Risorgimento di Legnago e Galleria Il Castello di
Trento.
Zell, 2 maggio
2008
Angelo Siciliano
DISEQUILIBRI
di Willy Verginer
Mostra alla Galleria Il
Castello, Studio Arte Contemporanea di Trento
In maggio 2008, si è
tenuta presso la Galleria Il Castello, Studio Arte Contemporanea di
Trento, una mostra di scultura di Willy Verginer, artista altoatesino
nato a Bressanone nel 1957, che vive e lavora a Ortisei. Egli ha
scelto la via del figurativo e privilegia il legno, come materia
prima, per realizzare le proprie opere. Una scelta certamente
difficile in un panorama contemporaneo, in cui altri scultori, da
anni, prediligono le installazioni, gli assemblaggi di materiali più
strani e vari, il ricorso ai nuovi materiali industriali proposti
dalla tecnologia, il ready-made decontestualizzato o
ricontestualizzato in modo provocatorio.
Con una decina di
mostre personali e alcune collettive alle spalle, Verginer ha proposto
a Trento le ultime opere realizzate di recente. Opere piacevoli da
vedere, immerse nel nostro tempo, perché l’artista ha “guardato”
l’arte pop, ma è anche molto attento alle immagini della pubblicità
che pervadono il nostro mondo. Le sculture di Verginer rappresentano
ragazzi e ragazze col volto fresco e levigato della giovinezza, spesso
in posizioni giocose con animali domestici come cani o conigli. Le
posizioni che queste figure assumono nello spazio sono non
convenzionali: qualcuna è ritta, ma a testa in giù, e regge sui piedi
un coniglio/lepre quasi fosse un giocoliere; qualche altra è in
ginocchio sul dorso di un Terranova; qualche altra, pur stante in
piedi, ha un cagnolino che le cammina sul petto o un coniglio sulla
schiena.
Per ogni scultura è
adoperato un solo colore – rosso, azzurro, verde o grigio – che ne
copre solo una parte, frutto di un intervento gestuale, mentre il
resto dell’opera conserva il colore naturale del legno. Ogni figura è
immersa nel proprio mondo, assorta e intenta a contemplare la propria
spiritualità. (Questo articolo è nel
sito www.angelosiciliano.com).
Scheda del catalogo
Il catalogo, di 20 pagine, illustrato
con immagini a colori, contiene i testi critici di Alberto Zanchetta e
Arnold Tribus. Le fotografie sono di Egon Decori. È stampato da La
Grafica-Mori (Tn) nel 2008, col patrocinio della Provincia Autonoma di
Bolzano Alto Adige, per conto della Galleria Il Castello di Trento.
Zell, 20 maggio
2008
Angelo Siciliano
LATA WALKI – (ANNI DI LOTTA)
di Wilhelm Sasnal
Mostra alla Galleria Civica di
Trento
Dal 16 marzo al 16
giugno 2008, si è tenuta nei locali della Galleria Civica di Arte
Contemporanea di Trento la mostra dell’artista polacco
Wilhelm Sasnal, nato a Tarnów nel 1972, che vive e lavora a
Cracovia, città natale di papa Giovanni Paolo II. Vanta una decina di
mostre personali, a partire dal 1998, tenute in giro per l’Europa e
alcune a New York, e anche presenze in diverse collettive.
Il titolo della mostra
Lata walki, tradotto in italiano è Anni di lotta, Years of
struggle in inglese.
I mezzi cui fa ricorso
Sasnal per creare arte sono molto diversi tra loro: filmati
cinematografici, installazioni e pittura. I suoi interessi sono vasti,
come la tematica che tratta: dai paesaggi ai ritratti, dagli aeroplani
agli animali, dai partigiani alle vecchie foto, dalle chiese alle
bombe, dai personaggi storici alle citazioni di opere di altri
artisti, dai fiori agli ufo e alle muffe ecc. Insomma pare che non vi
sia settore o tema, cui Sasnal non sia interessato, ispirandosi alle
immagini televisive, a quelle divulgate dai giornali o dal web e ai
fumetti. Tuttavia, le sue immagini paiono superate, rispetto a quanto
siamo abituati a vedere in Occidente, anche se il suo modo di
assemblarle sfrutta le attuali tecniche fotografiche, per offrire
all’occhio dello spettatore particolari che di solito sfuggono o punti
di vista inusuali e originali. La sua tecnica e il suo stile non sono
univoci e appaiono contraddittori, quasi fossero espressione di
differenti personalità. E ciò è dovuto non solo all’utilizzo di
strumenti diversi, ma anche al modo in cui impiega il colore. Per
questo la sua pittura, fatta di colori minimali, con tinte di grigi e
di verdi, appare a volte iconica, mentre altre volte può sembrare
astratta o informale. Le sue immagini, che non hanno eccessiva pretesa
simbolica, si presentano corrose, asportate o distrutte, al punto da
indurre Fabio Cavallucci a scrivere, nel suo testo critico, di
iconoclastia nell’arte di Sasnal, in sintonia con quanto accade in
Polonia, in particolare a Varsavia, soprattutto per i cartelloni
pubblicitari, in cui alle immagini si preferiscono le scritte.
(Questo articolo è nel sito
www.angelosiciliano.com).
Scheda del catalogo
Il catalogo, di 148 pagine, illustrato
con immagini a colori e in bianco e nero, contiene i testi di
Agnieszka Morawińska, Fabio Cavallucci, Maria Brewińska (intervista
all’artista), Andrzej Szczerski. È stampato nel 2007 da ARW A.
Grzegorczyk, per conto della Zachęta Narodowa Galeria Sztuki di
Varsavia, grazie al finanziamento del Ministero della Cultura e del
Patrimonio Nazionale della Repubblica di Polonia.
Zell, 20 maggio
2008
Angelo Siciliano
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