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MOSTRA DI PITTURA DI 16 ARTISTI DI TRENTO A MAGDALENO DE KINO IN MESSICO “ALTROVE” NON È UN LUOGO Al MART, Museo d’Arte Contemporanea di Trento e Rovereto, accanto ai quadri tagliati dell’artista italo-argentino dello spazialismo Lucio Fontana, tra l’altro è scritto: «…nei suoi concetti spaziali lo spazio reale e quello cosmico diventano un “altrove” puramente concettuale». Dunque, nel caso di questo artista, i cui esperimenti sono considerati tra i più interessanti del secondo dopoguerra, non solo lo spazio cosmico ma anche quello reale diventano un altrove concettuale. Ma si sa che il termine “concettuale” necessita della mediazione dello spettatore, cioè del fruitore dell’opera d’arte che, a seconda del proprio livello culturale e delle sensazioni che l’opera gli trasmette, ne dà una personale interpretazione. Quindi, esistono un altrove dell’artista che, anche quando si ispira alla realtà crea sempre qualcosa che la trascende, e un altrove del fruitore che guarda. Questi due aspetti potrebbero anche coincidere. Ma non è detto che ciò accada, perché il bello dell’arte è anche questo. La mostra, che gli artisti de “La Cerchia” portano in Messico, è il frutto ultimo di anni di ricerca, di lavoro individuale e di gruppo. È l’unico gruppo artistico superstite di Trento. Ve ne sono stati diversi in passato, tra cui alcuni sindacati d’arte, che hanno contribuito a fare la storia dell’arte trentina e non solo. “La Cerchia” ha resistito nel tempo e prosegue la sua attività confrontandosi lungo un percorso progettuale, in cui di volta in volta si fissano gli obiettivi e la meta da raggiungere. Ciascun artista è cresciuto negli anni, affinando la propria tecnica e migliorando il livello qualitativo delle proprie opere. In questo modo anche il gruppo è cresciuto per coesione e come identità artistica riconoscibile a chi frequenta l’ambiente artistico. E questi due aspetti, in un’epoca come l’attuale, in cui l’individualismo e il consumismo hanno grande preminenza, sono da reputare valori autentici unitamente a quello fondante del fare arte. In seno al gruppo, anche se le individualità sono distinte e riconoscibili, le loro cifre stilistiche si armonizzano in un processo creativo che si potrebbe definire simbiotico. Marco Berlanda propone icone popolari e familiari. Parlano, con le loro decise cromie, all’occhio per arrivare al cuore. Paiono affioranti da un immaginario collettivo dei tarocchi. Carla Caldonazzi utilizza elementi a noi prossimi, attinti dai paesaggi alpestri. Non sono incombenti però le sue vette, ma ovattate di morbida luce come in uno scrigno dei ricordi. Livio Conta articola le sue assorte figure in una molteplicità prospettica, come a eluderne la staticità. E il loro ambiente si dilata, con i connotati di un raccolto e rassicurante intimismo. Franco Damonte a volte opta per scene domestiche che hanno la peculiarità di una visione, altre volte le sue figure si articolano in ambienti di cromie calde, chiaramente esotiche. Bruno Degasperi opera perseguendo un personale codice estetico. Le sue opere sembrano pezzi di realtà fissati da un satellite, oppure affioranti da un’inconsueta memoria geologica cristallizzata. Domenico Ferrari riesce ad armonizzare i ricordi, le partenze, i naufragi, gli avanzi del post consumismo e ce li rende, con dovizia di particolari, in una persistenza della memoria. Adriano Fracalossi presenta un mondo che è gioco e racconto insieme. E a renderlo vivo e palpitante sono le calde tarsie di colori che ne delineano prospettiva e movimento. Tullio Gasperi riassume nei suoi dipinti le varie tappe del proprio fare arte. Stavolta emergono ricordi ancestrali che si materializzano in inconsuete strutture del cosmo. Carlo Girardi, attraverso trame fitte di segni e chiazze cromatiche, tende a ricostruire/ricostituire figure che si presentano abbozzate, eppure seducenti per l’occhio del fruitore. Mario Matteotti predilige il chiaroscuro. I suoi paesaggi sopravvivono alla tempesta o a una notte buia e tenebrosa, illuminati a intermittenza da lampi che a tratti squarciano le tenebre. Pierluigi Negriolli gestisce quinte prospettiche e sipari che si aprono con scene di viaggiatori che avanzano da culture lontane, che rimandano ai Tuareg e a genti che paiono a noi lontanissimi. Lina Pasqualetti Bezzi, con fitte trame e campiture policrome, focalizza visioni fluorescenti come paesaggi inconsueti del creato, dove tuttavia è possibile un qualche ancoraggio. Annamaria Rossi Zen, con le sue signore trasognate, ci offre una tipologia di ritratto quasi spirituale, in cui l’abbandono nell’ambiente domestico si ammanta di lirismo. Giorgio Tomasi sa rendere lo scomporsi delle forme, le cui campiture cromatiche, in un’apparente fluidità, paiono tendere ad acquisire una parvenza di plasticità ricomposta. Ilario Tomasi percorre un mondo di atmosfere sospese, carico di lirismo, in cui la realtà travalica i confini convenzionalmente assegnati, per farsi racconto, fiaba, sogno ad occhi aperti. Remo Wolf ha molto dato all’arte e la sua arte a noi. Le sue opere grafiche sono un punto fermo nella storia dell’arte trentina. Le sue figure e i suoi paesaggi restano emblematici. (Questo testo, assieme al catalogo in formato pdf con i quadri e la traduzione dei testi in spagnolo, è nel sito www.angelosiciliano.com).
Zell, 6 marzo 2007 Angelo Siciliano
ALTROVE*
L’altrove è prima di tutto un non luogo il non visto che s’insinua nel foro interiore sogno che non si disperde. È il coraggio di dire dove si è lo spazio dell’ovunque dell’al di qua e dell’aldilà il tempo che torna a ritroso sui suoi passi che lo fiondano di molto oltre il presente. Se non è la vita l’altrove è la forza vitale che nessuna lusinga saprà compensare nessuna scienza né ideologia potrà estirpare perché l’arte la poesia sono oltre le cose.
Zell, 28 febbraio 2007 Angelo Siciliano
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