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La rivoluzione del web
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Grazie al computer,
all’informatica, alla rete internet, al web, alla posta
elettronica, al digitale, ai nuovi software e all’elettronica di
consumo siamo continuamente coinvolti e immersi in una
rivoluzione sociale e culturale senza fine, i cui contorni
paiono ancora solo vagamente definibili nel suo continuo
divenire.
Da qualche anno il “cartaceo”,
inteso come libri, quotidiani, riviste ecc. è in sofferenza.
Cambiano i mezzi, gli strumenti, gli utenti e i luoghi di
diffusione di quel che era oggetto di divulgazione esclusiva
tramite la carta stampata. Il problema serio dei giornali – a
parte il calo dei lettori – anche se in Italia c’è ancora il
finanziamento pubblico, è la diminuzione degli introiti
pubblicitari. Infatti, alcuni editori Usa di grandi quotidiani,
a causa di ciò hanno fatto bancarotta.
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I motori di ricerca consentono la
consultazione gratuita degli articoli dei giornali. Tanto si rifanno
con l’incasso della pubblicità! E allora, il 2 febbraio 2011,
Murdoch, il più grande editore del mondo, ha presentato a New York “The
Daily”, il quotidiano per iPad, consultabile al
costo di 99 centesimi di dollaro a settimana.
Indubbiamente, grazie alla
digitalizzazione e alla continua innovazione tecnologica, non siamo
che all’inizio di una nuova rivoluzione per i media. E ciò,
unitamente all’invenzione dell’eBook e all’uso della carta
riciclata, dovrebbe rinfocolare qualche speranza negli
ambientalisti: sempre meno foreste saranno destinate alla produzione
di cellulosa.
Identico destino tocca all’arte,
alla musica, al cinema ecc., grazie anche a una serie infinita di
link. E anche per la tivù si prospetta un connubio sempre più
stretto con il Pc e con il web.
Per un fatto di costi da
comprimere, ma anche di velocità divulgativa, sempre più
frequentemente tutto trasloca sul web: un mare magnum, dove
si trova di tutto. Ma la cronologia è appiattita in ossequio
all’effimero, con un susseguirsi continuo di fatti e notizie, che
diventano presto “vecchi”. E tendono a perdere visibilità e a
sparire.
Si ipotizza pure la creazione di
mega-archivi elettronici, in cui conservare, a futura memoria, tutto
quel che s’è immesso sulla rete.
Chi si avventura sul web
deve sapersi orientare. E i minori, che adoperano Facebook
come una “protesi” per socializzare, se non controllati, sono
esposti a qualche rischio. Gli adulti devono discernere tra quel che
si va a scaricare, perché talvolta l’informazione è approssimativa
o, peggio, la disinformazione è in agguato. Ma va pure detto che,
grazie al web, talvolta sono divulgate “verità” che
qualcuno aveva taciuto per i propri fini, o perché coperte dal
segreto di Stato. È il caso di Wikileaks, il cui fondatore,
l’australiano Julian Assange, attualmente agli arresti a Londra, fa
ancora tremare il mondo con la potenziale divulgazione di migliaia
di documenti, che allarmano le cancellerie del pianeta.
Su Fb opera un popolo di
“amici”, che si appoggia anche a YouTube per mettere in rete
brevi filmati e pezzi musicali o per fruirne.
Purtroppo, imperano spesso
l’improntitudine, la banalità delle mezze frasi sghignazzate,
provocazioni a volte licenziose e dialetto sbocconcellato,
semplificato e improbabile avanzo della cultura orale che s’è molto
immiserita ancor prima del voltare del Novecento. Ma anche la lingua
italiana avrebbe a che ridire. Come per i messaggi col cellulare,
così anche su Fb è normale trovare una frase tipo “x me 6 tutto”
anziché “per me sei tutto”. Per non parlare poi delle
sgrammaticature, talvolta frutto accidentale dell’improvvisazione o
della svista, e della perdita definitiva del congiuntivo. Insomma,
una selva di “lingue” e gerghi di nuova creazione. E la generazione
dei giovani, che non trova lavoro – tanti minorenni che non hanno
più una memoria condivisa –, grazie a Fb diventa visibile. Si
affaccia in società e cerca di accreditarsi, anche per emanciparsi.
E il più orgoglioso è chi può esibire più “amici”, che possono
assommare anche a centinaia di individui.
Vi è chi sostiene che i media
stanno modificando il nostro cervello. E anche se esso conserva la
sua plasticità, ormai la mente fa “click” ancora prima del mouse.
Tuttavia, non tutto è identico,
banale o mediocre su Fb. Vi sono nicchie in cui si chiede di
firmare appelli o ci si adopera per stimolare l’aggregazione attorno
a idealità calpestate, eventi mediatici, fatti politici e battaglie
culturali. Si promuove l’adesione ad associazioni on line, per la
formazione di opinioni e di interessi culturali comuni, con
propositi e proposte scritti in “bacheca” o creando “post” con
documenti anche illustrati, e stimolando a interagire in un
dibattito virtuale, con botte e risposte, da parte di “amici”
coinvolti o “taggati” in una foto. E si possono immettere
gruppi di foto, recenti o del passato, per condividerne la
fruizione. E non va trascurata la possibilità di chattare,
mentre si naviga in rete, o fare videochiamate.
Il contesto lucano
Grazie a Facebook, ho conosciuto da
un paio d’anni tanti “amici”, tra cui Donato Muscillo, e
capito quel che lui va facendo per il proprio paese natale, Genzano
di Lucania (Pz). Con un nutrito gruppo di “amici”, attraverso “AGORÀ”,
Circolo culturale (virtuale) genzanese, e “Castello di
Monteserico”, sta facendo un lavoro di riscoperta, recupero,
approfondimento e divulgazione del dialetto, della storia e vicende
locali, anche con ricerche negli archivi, di cui è dato poi conto. A
inizio dicembre 2010 erano promotori in Genzano di un convegno sul
salvataggio del dialetto dal titolo “Il
nostro dialetto può assurgere al rango di lingua?”.
E poi, sempre su Fb, c’è
Ezum Valgemom-ICHNet di
Giuseppe Torre da Potenza, che, nell’ambito di un progetto
internazionale dell’Unesco, si sta prodigando tanto per il recupero
e la salvaguardia del “Patrimonio immateriale”. E non agisce
solo per la Lucania, ma si muove ad ampio raggio, in varie regioni
d’Italia, laddove forte si leva il grido che c’è qualcosa da
valorizzare, salvare o denunciare, per attirare l’attenzione del
maggior numero di persone possibile. E promuove l’Atlante
linguistico, l’Associazione per la zampogna e collabora
con quelle per l’arpa, per il flauto di canna, dei campanari ecc.
Quando si diffonde il tamtam su Fb, ci si dà appuntamento nei
luoghi in cui si tengono incontri, convegni ecc.
Ancora attraverso Fb, per il sito
LucaniArt Magazine,
Maria Pina Ciancio va proponendo
le sue interviste ai poeti contemporanei.
Carmine Donatelli
di Tricarico, paese di Scotellaro, che ha scelto come propria icona
il brigante Crocco, va proponendo criticamente aspetti della
contemporaneità, attraverso i “fasti e i nefasti” del brigantaggio.
Se ci fossimo affidati solo al
cartaceo, sicuramente io, Donato Muscillo e altri “amici” del web
non ci saremmo accorti della reciproca esistenza e non avremmo dato,
alle cose che andiamo facendo, il senso e la svolta che proprio il
web ci consente. E, quindi, anche noi di una certa età impariamo
continuamente a guardare e a riscoprire il mondo con occhi diversi.
Pure Muscillo è un emigrato. Ma,
mentre io dall’Irpinia orientale me ne salii a Trento, lui si mosse
a corto raggio: si sistemò come insegnante a Foggia. A un passo da
casa.
I nostri dialetti – anche se la
grafia fonetica del genzanese potrebbe intimorire il non addetto ai
lavori, mentre quella adottata da Albino Pierro da Tursi (Mt) è meno
accidentata – hanno qualche contaminazione con la parlata pugliese:
più col daunio il mio, più col barese quello di Genzano. E le nostre
culture orali, se non sono proprio identiche, penso che abbiano
tantissimo in comune, in quell’ampia koinè
che fu e ancora è l’Italia meridionale.
Attraversando la Lucania, per
andare o tornare da Krotone, città di mio suocero, mi sono fermato
spesso a Matera, e ho colto anche l’occasione per visitare Melfi,
Acerenza, Venosa, Lagonegro, Bernalda, l’area archeologica di
Metaponto e il lago di Monticchio nel cratere del Vulture. Mi piace
scambiare qualche parola con le persone che incontro: il giornalaio,
il venditore di frutta e verdura o di generi alimentari per cogliere
dalla loro voce le inflessioni dialettali, qualche termine locale o
un lemma, per una fugace comparazione con la parlata del mio paese
natale, Montecalvo Irpino. Grande è la mia meraviglia nello scoprire
che abbiamo molto, ma molto di più di qualche parola o frase
dialettale in comune.
Le Dolomiti Lucane, finora, mi son
dovuto accontentare di ammirarle dalla Basentana o di scaricarle dal
web. Ma sul Pollino ci sono stato!
Nel 2009 telefonavo, a caso, a
Monticchio di Rionero in Vulture (Pz), e una signora capace e
gentile, con estrema pazienza, mi aiutava a tradurre in dialetto
locale una mezza dozzina di versi di uno dei miei sette poemetti
dialettali inediti, “Munticàlivu a lliéttu murtóre”
(Montecalvo sul catafalco), incentrato sulla morte apparente – per
una sorta di burla – del mio paese natale e l’accorrere, per la
gestione del lutto, di alcuni paesi e città personificati, lontani o
vicini, relativamente ai quali, nella cultura orale montecalvese, ho
repertato negli anni diversi blasoni etnici “forestieri”, intesi
come detti o aneddoti di riferimento, coloriti e interessanti.
Quello riguardante Monticchio, che pare un distico a rima baciata, è
il seguente: “Ha ghjutu sin’a Mmuntìcchju / pi nu capu di
sausìcchju! (E’ andato sino a
Monticchio (distante oltre 100 km) / per una salciccia!)”.
Devo aggiungere che di telefonate
così, e sempre a caso, mi toccava farne una quindicina, per
attingere ai dialetti dei paesi coinvolti nel poema. E devo
confessare che ho trovato grande collaborazione da parte dei miei
sconosciuti e incidentali informatori.
Negli anni ho guardato ad alcuni
poeti di Lucania. Ne ho letto i versi e ho imparato a conoscerli.
Ho visitato spesso Matera, grazie
soprattutto alle sue mostre. Ne prediligo i Sassi, le chiese e
alcuni palazzi. Soprattutto Palazzo Lanfranchi, con il lungo dipinto
di Carlo Levi (1902-1975) sulla civiltà contadina dedicato a
Rocco Scotellaro (1923-1953), che, nonostante la sua oleograficità,
affascina il visitatore: in esso è cristallizzato quel mondo
contadino arcaico, che non c’è più. Certamente una realtà fatta di
miseria, a cui tuttavia si rivà con nostalgia, quando pressante è il
rifiuto per le brutture, le involuzioni, le ingiustizie, le
immoralità dell’oggi.
Ho stima per Giuseppe Appella
e la sua casa editrice Edizioni della Cometa. Un intellettuale,
critico e storico d’arte raffinato nell’organizzare negli anni
grandi mostre di pittori o scultori nei Sassi di Matera. Tantissimo
ha fatto per la cultura lucana e per divulgare Scotellaro e altri
poeti locali, attraverso l’edizione di minuscoli preziosi libretti.
Ma il suo gioiello è il MUSMA (Museo della Scultura
Contemporanea di Matera), il più importante museo nazionale dedicato
alla scultura e all’arte tridimensionale. Sulla base di un suo
progetto culturale lo ha realizzato la Fondazione Zétema, con il
Patrocinio del Comune e del Circolo La Scaletta di Matera.
Imparai a conoscere la poesia di
Leonardo Sinisgalli (1908-1981).
Con Manlio Rossi Doria (1905-1988),
economista e meridionalista illuminato, ebbi qualche breve scambio
telefonico e di corrispondenza prima della sua morte.
Ma ricordo ancora nitidamente l’ex
presidente del consiglio e poi senatore a vita democristiano, il
lucano Emilio Colombo, che, capitato casualmente nel 1993 nella mia
mostra personale a Castel Drena (Tn), dove esponevo anche le mie
opere con i catafalchi, più o meno bonariamente mi rampognava che
quelle erano scene che dobbiamo cancellare. Assieme a tutta la
cultura orale della civiltà contadina, perché essa ci arreca solo
vergogna. In un certo senso, il tempo l’ha accontentato!
Ricordo Mario Trufelli, nei suoi
servizi di cronista per la tivù nazionale, poi poeta premiato.
Ho perso di vista l’opera di
Raffaele Nigro, autore di Fuochi del Basento
e altri libri e romanzi.
Grazie alla tivù, ho potuto
ascoltare Albino Pierro (1916-1995), emigrato a Roma, nella lettura
delle sue poesie in dialetto protostorico di Tursi, suo paese
natale, a cui lasciò i propri beni. Il suo archivio letterario è
dell’Università della Calabria, a Rende (Cs).
Lui e Mario Luzi (1914-2005), con
una bibliografia vastissima alle spalle, sono stati due galli nel
pollaio: per qualche anno nominati per il Nobel della Letteratura.
Ma, tra i due litiganti, la spuntava Dario Fo. Gli veniva assegnato
il Nobel nel 1997, perché «nella tradizione dei giullari
medievali fustiga il potere e riabilita la dignità degli umiliati».
In Sicilia, Puglia e Lucania ha
operato per la storia antica e l’archeologia Carlo Belli
(1903-1991) di Rovereto (Tn): il “parnaso del Trentino” nella prima
metà del Novecento. Fu tra i pionieri dell’Astrattismo italiano,
compositore di musica, scrittore di saggi d’arte e giornalista,
oltre che grande amico di Giuseppe Appella e Vanni Scheiwiller,
grande editore di poeti.
Il suo archivio è presso la sede dell’Archivio del ‘900 del
MART di Rovereto.
Se per la Lucania ho una conoscenza
sommaria e trasversale, per Genzano non ho avuto modo di passare per
un “sopralluogo” linguistico. Ma faccio questo ragionamento: se
quello scritto da Muscillo non è il dialetto della sua gioventù, ma
quello che ancora si parla nel paese, allora si può ritenere Genzano
un paese fortunato. Ad altri borghi è toccato in sorte
l’immiserimento irreversibile della propria parlata.
Il contesto irpino
A riguardo del dialetto del mio
paese natale, la cacuminale, antichissimo suono mediterraneo –
presente nelle parole in sostituzione del suono liquido della doppia
l, come in puddrìdru,
quéddra, caddrìna (puledro, quella,
gallina) –, scompariva dalla parlata dei ragazzi già negli anni
Settanta del Novecento. E, a seguire, stessa sorte toccava al suono
della fricativa, della laringale e poi a buona parte del vocabolario
orale adoperato, che io mi sono premurato di raccogliere. Ma tuttora
è solo manoscritto, con 8-10.000 parole.
Ma per me, che vissi e partecipai a
Napoli allo “strappo” del Sessantotto, la delusione maggiore è
derivata dal fatto che nessun giovane compaesano, laureato e rimasto
in loco, mi abbia seguito. Neanche per curiosità, su questo sentiero
di ricerca e riscrittura creativa. Chissà, forse perché esso è
impervio e solitario, oltre che faticoso e senza uno sbocco
professionale o di una prospettiva minima di reddito.
Anche in Irpinia
(“L’Irpinia verde!” la
definiva, in una lettera del 16 giugno 1928 indirizzata a Guido
Dorso (Avellino, 1892-1947) autore del saggio “La
Rivoluzione Meridionale”,
il lucano Giustino Fortunato (1848-1932), che, da iscritto al
CAI, Club Alpino Italiano,
i monti irpini aveva salito e camminato), terra di colline, montagne
boscose e ricca di fiumi che noi emigranti abbiamo sempre
percepito come “Terra del silenzio”, qualcosa si muove. Forse, più
di qualcosa!
Angelo Verderosa –
architetto che ha restaurato cattedrali offese dal sisma e creato
qualche museo – e un folto numero di amici e intellettuali, con il
blog di COMUNITÀ PROVVISORIA,
si sono mossi da qualche anno per l’arte, l’architettura, la poesia
e l’ambiente promuovendo raduni e meeting. Prima il luogo di
riferimento era il Goleto di Sant’Angelo dei Lombardi, detto di S.
Guglielmo da Vercelli, fondatore nel XII sec. del Monastero di
Montevergine sul Partenio, dedicato a Mamma Schiavona, la
Madonna ‘la Shcavunìja, Mamma Scura
di pelle. Schiavònia in passato indicava la Dalmazia e più
precisamente l’attuale Bosnia. Poi, sono venute le battaglie per la
salvaguardia dell’altopiano del Formicoso, contro la creazione di
una
megadiscarica di rifiuti. Problema annoso, questo, della
Campania e di Napoli soprattutto. La loro attività si è focalizzata
sulla creazione e gestione del Parco di Cairano. E Franco
Arminio ne è uno degli instancabili artefici con la sua
“battaglia paesologica”.
Donato Violante, con il sito
www.irpinia.biz/irpinianostra
e la
rivista on
line “Irpinia
ed Irpini”
dell’Associazione Irpinia
Nostra, promuove la
valorizzazione
dei comuni dell’Irpinia divulgandone
storia, cultura, tradizioni,
prodotti tipici e attualità con rassegne economiche.
Mario De Prospo va
conducendo su Fb una battaglia per salvare le biblioteche
comunali di Avellino.
Mario Perrotta, con le sue
foto e i suoi eventi, rende conto su Fb delle sue escursioni
ambientali, artistiche e culturali.
Antonio Pica di Lioni, con
l’Associazione Fateci Respirare, si batte da anni per il
recupero del centro storico del proprio paese e organizza la “Mostra
annuale degli autori irpini”. In passato lo faceva in
collaborazione con il periodico “Altirpinia”, del compianto
direttore Nino Iorlano, anche lui di Lioni.
In Irpinia escono due quotidiani, “Corriere
– Quotidiano dell’Irpinia” e “Ottopagine”, dai cui siti
si possono scaricare notizie e articoli archiviati.
E sempre grazie a internet
si dà conto che, in diversi comuni d’Irpinia, si va svolgendo, con
la partecipazione di diversi poeti e studiosi, un “tour”
poetico, “Poesia
irpina per l’Unità d’Italia”,
tema attuale in quest’anno di celebrazioni per i 150 anni
dell’Unità, e in cui è incastonata la sezione “L’Unità
d’Italia e Francesco De Sanctis”,
con
Francesco Barra, docente irpino presso l’Università di
Salerno. È iniziato nell’ottobre 2010 a Bagnoli Irpino e si
concluderà nel giugno 2011 a Castelfranci. Tra i poeti partecipanti,
quelli di riferimento sono Franca Molinaro, Giuseppe Iuliano
e Aniello Russo, che stanno facendo tanto per la poesia, la
cultura e relativa divulgazione.
Franca Molinaro attende attualmente
alla creazione di un’antologia e a una collana di autori dialettali,
che usciranno con l’editore Silvio Sallicandro.
Aniello Russo, nella sua
ultraventennale attività di ricerca, recupero, studio e divulgazione
della cultura orale di tutta l’Irpinia, ha pubblicato oltre una
quindicina di volumi tematici.
Il critico letterario,
Paolo Saggese,
molto impegnato col “tour” poetico, si è affermato in questi anni in
Irpinia e in Campania. Con altri intellettuali e poeti è fondatore e
animatore del CDPS (Centro di Documentazione sulla poesia
del Sud) creato a Nusco nel 2004, la cui voce è la rivista “Poesia
Meridiana, Spazi e luoghi letterari per i Paesi Mediterranei e
per i sud del mondo”. Ha recentemente pubblicato, con Delta 3
editore di Silvio Sallicandro di Grottaminarda,
l’antologia poetica sul terremoto La polvere e la
luna: i poeti del 23 novembre
(in essa è anche la mia poesia
Terremoto).
Ora sta preparando
il secondo volume sulla poesia irpina contemporanea.
Grazie a questi amici, il
“cartaceo” permane nella sua importanza. Gutemberg può vivere di
rendita ancora per qualche anno!
Ad Ariano Irpino, Ottaviano
D’Antuono, oltre ad aver creato il Museo Civico, in cui è
celebrata la storia della maiolica arianese e di cui è responsabile,
ha fondato anche il Museo Giuseppina Arcucci. Intellettuale,
artista, restauratore e bibliofilo è anche organizzatore di mostre.
E l’Associazione amici del Museo di Ariano pubblica il
periodico “Aequum Tuticum” (Tuticum
è un termine osco, da touto,
popolo – Cfr. E.T.Salmon, Il Sannio e i Sanniti,
Einaudi editore, Torino 1985 – città preromana, ora in territorio di
Ariano, e forse una delle capitali federali del Sannio antico. Dalle
sue parti passano l’Appia-Traiana, che da Roma, attraversando
Benevento, portava a Brindisi, e il tratturo Pescasseroli-Candela,
forse esistente già nel Neolitico, oltre 4000 anni a. C., facente
parte della rete viaria di Tratturi e Tratturelli dei Sanniti
nell’Italia Centro-Meridionale).
Da Montemarano, sempre grazie al
web, mi contattava Luigi D’Agnese, perché aveva scoperto
due canti di Montecalvo Irpino, Serenata montecalvese
e Serenata allo sposo,
repertati dall’americano Alan Lomax nel 1955, che era passato per la
sua ricerca per tanti altri paesi d’Irpinia, e archiviati presso il
Centro nazionale studi di musica popolare dell’Accademia
nazionale di S. Cecilia di Roma. A fine giugno 2009, io e
l’amico Gaetano Caccese, maestro di sci e organizzatore di
trekking sportivi, culturali e religiosi, nell’ambito del Progetto
U. I. S. P. col suo Judo Sci Fitness Club di Ariano Irpino,
visitavamo il bel Museo Civico Etnomusicale “Celestino Coscia e
Antonio Bocchino” di Montemarano e con piacere apprendevo quanto
sta facendo da anni la locale Associazione culturale “HIRPUS
DOCTUS” per salvare e tramandare, anche con la pubblicazione di
DVD, la tarantella “processionale” e il carnevale montemaranesi. Gli
devo un articolo. I due canti, mi sarebbe piaciuto recuperarli per
confrontarne i testi con quelli da me raccolti a Montecalvo: oltre
200 canti e il poema contadino cantato Angelica
di 107 quartine, unico in Irpinia e ultimo trascritto in Italia. Ma
mi son dovuto convincere che è pressoché impossibile.
Il 17 agosto 2010, mia moglie mi
accompagnava a Montemarano, dove partecipavo come relatore al
convegno all’aperto “I BENI IMMATERIALI DEI POPOLI”, in quella che
era la prima delle due giornate nel Bosco di Montemarano di
dimostrazioni pratiche di tarantella ballata e suonata con strumenti
tradizionali e nuovi strumenti. E naturalmente c’era anche
Giuseppe Torre.
A Frigento, suo paese natale, si
occupa di archeologia, scavando e repertando da anni, Salvatore
Forgione, con la supervisione dell’archeologo prof. Francesco
Fedele dell’Università Federico II di Napoli. Anche lui, che vive a
Mercogliano, mi contattava grazie al web, per via dei reperti
preistorici, da me rinvenuti alla Costa della Mènola di Montecalvo,
e divulgati sul web. Gli ho fatto visita a casa nell’ottobre
2010. Mi ha regalato i suoi diversi libri pubblicati in questi anni,
con le splendide illustrazioni dei reperti del Paleolitico, che ha
fotografato e anche mirabilmente disegnato. La preistoria irpina mi
incuriosisce e inorgoglisce. Ed è collegata a quella dell’Abruzzo e
della Lucania. Con la fantasia, a volte, mi sorprendo a immaginarmi
come potessero vivere quei lontani progenitori, da cacciatori
raccoglitori. E ripenso a quante civiltà siano scomparse sulla
nostra Dorsale appenninica. Anche in questo caso sono debitore di un
articolo.
Il
regista irpino Pino Tordiglione sta completando un film
documentario sulla vita della beata Teresa Manganiello di Montefusco
e Pietradefusi, detta la “Merlettaia di Dio”.
Da Nusco, Giovanni Marino,
responsabile dell’Archivio Storico CGIL Avellino, è promotore
di un’ampia attività culturale, che passa per Fb, e non
trascura la storia e le problematiche della collettività locale.
A Montecalvo, dove resiste agli
agenti atmosferici una lunga striscia di Murales coi miti
locali, di cui fui promotore nel 1988, dopo la pubblicazione del mio
libro, Lo zio d’America,
di testi in dialetto montecalvese, sono attivi una radio locale,
Radio Ufita di Domenico Santosuosso, e i seguenti siti
privati, che si muovono tra cronaca locale e cultura:
www.sanpompilio.it, dedicato al
santo nativo del paese, S. Pompilio Maria Pirrotti, il cui
santuario è a Campi Salentina (Le), per il quale ha molto lavorato
in questi ultimi dieci anni il giovane abate don Teodoro
Rapuano, creando anche il primo museo di Montecalvo, e il 9
marzo 2011 papa Benedetto XVI incoronerà, al termine
dell’udienza generale nell’aula Paolo VI in Vaticano, la Madonna
dell’Abbondanza di Montecalvo, Mamma Bella per S. Pompilio,
alla presenza dell’abate e di oltre 400 pellegrini montecalvesi;
www.irpino.it, di
Francesco Cardinale, che mette in rete anche le ricerche su
cultura, storia e archeologia locale di Mario Sorrentino, e
si avvale della collaborazione del cronista locale Angelo Corvino;
www.montecalvoirpinoonline
di Alfonso Caccese;
TeleMontecalvo su Fb e il sito
www.TeleMontecalvo.it, di Alfonso De Cristofaro (ha
promosso i prodotti tipici locali, tra cui il pane, e creò in
passato una radio locale, Radio Delta, e il periodico
Irpinia Flash),
una piattaforma, su cui i collaboratori possono inserire i propri
testi documentati, con cui collabora il giornalista Mario Aucelli,
per una vita corrispondente
del
quotidiano
Il
Mattino
di Napoli e poi
ricercatore a tutto campo della storia locale del paese,
relativamente al XX secolo. L’associazione di giovani Libera
Mente, con iniziative culturali, musicali e sportive, attraverso
Fb cerca di
scuotere il paese dal suo torpore.
Il mio sito,
www.angelosiciliano.com,
creato nel 2004 da Alfonso Caccese e gestito dal sottoscritto dal
2008, getta un ponte tra la cultura dell’Irpinia, mia terra
d’origine, e il Trentino, in cui vivo dal 1973.
Più o meno tutti i comuni hanno
aperto al web e si rendono visibili coi propri siti
istituzionali.
Il dialetto e il libro di
Donato Muscillo
|
Donato Muscillo, in settembre
2010, mi recapitava con una mail, il suo libro formato word di
104 pagine, “Raccontare il poco – Biàt a códd iórë ca
ént a sólchë spaccàt mórë”,
edito da “ilmiolibro.it”
del Gruppo editoriale L’espresso-Repubblica.
Trattasi di un libro di “Versi,
dialettali e non, su cose genzanesi”, come è riportato in
copertina.
Prima di addentrarmi nel suo
contenuto, ritengo importante puntualizzare il discorso sul
dialetto.
A Genzano di Lucania (Pz), a
inizio dicembre 2010 si teneva un convegno sul salvataggio del
dialetto dal titolo “Il
nostro dialetto può assurgere al rango di lingua?”.
E si apprendeva dal web che il
dibattito che ne scaturiva, dalla questione principale, posta
dal tema del convegno, si spostava sul fatto che il dialetto
genzanese non ha una tradizione scritta e quei pochi che si sono
cimentati nella sua scrittura, l’hanno fatto liberamente, senza
aver fissato un codice, vale a dire una convenzione grafica di
scrittura. Tuttavia, i convegnisti erano d’accordo su un fatto:
“Tutti plaudiamo all’iniziativa di Donato Muscillo che ha
proposto la realizzazione di un centro di documentazione del
dialetto, ma se non concordiamo una linea comune sui criteri di
trascrizione non andiamo da nessuna parte”.
Quindi, è giusto porsi il
problema di una convenzione grafica di scrittura. Una questione
del genere se la posero, diversi anni fa, i poeti dialettali del
Trentino e la risolsero accordandosi su un codice grafico di
scrittura con i poeti vernacoli di Lombardia.
|
Per esperienza personale, che per
il mio dialetto irpino ho scelto il metodo della grafia fonetica,
penso che sia una questione importante, e pur tuttavia relativa.
Perché, prima di tutto, l’importante è scriverlo il dialetto. E non
secondari sono la sua traduzione in lingua e la registrazione della
lettura dei testi da parte dell’autore. E chi lo scrive, basti che
indichi il codice o la convenzione adottata. Ma se non vi è chi lo
scrive il dialetto, la questione è solo oziosa.
Non meno importante è che il
dialetto sia parlato dalla comunità. Prima di tutto in famiglia,
come “lingua degli affetti”, e poi anche come “lingua degli ambienti
di lavoro”. Il suo uso non deve indurre in vergogna, come succedeva
una volta agli studenti dialettofoni, severamente redarguiti dai
maestri. E si rafforza se esso si fa affabulazione, se recupera miti
e magie, storie di luoghi, fatti e vicende di persone, di cui questa
società distratta non sa che farsene.
Tuttavia, nell’Italia dei mille
dialetti, il poeta non salva il vernacolo. Ma lo fissa nei suoi
testi. Lo rivitalizza e lo rende memoria. Talvolta lo ricrea, grazie
alla magia fonica nell’accostamento di frasi e parole sorprendenti e
disusate. Insomma, il dialetto si può anche “impastare”
linguisticamente. Nel migliore dei casi, il poeta si fa “biblioteca
e glossario vivente”. Ma perché il dialetto sia recepito, il poeta
non deve scordarsi della tradizione. Deve ricorrere a un uso
“illuminato” della memoria, per attingere anche all’immaginario
collettivo. Con le imprescindibili giuste dosi di lirismo ed
epicità.
Il dialetto può arricchire la
lingua ufficiale. Lo scriveva il critico calabrese Antonio Piromalli
(1920-2003): “L’arte che nasce dal terreno della cultura popolare e
dialettale offre nuove possibilità di studio degli arricchimenti
sintattici; esiste ancora, nel dopoguerra, un filone sommerso
mantenuto subalterno, censurato, soppresso, che vale la pena di
indagare”.
Il libro di Donato Muscillo
dischiude lo scrigno della memoria riesumando scampoli di ricordi
personali, familiari e frammenti di vita comunitaria, ormai desueti
e pressoché dimenticati. Narrazione e lirismo, evocazioni
intimistiche, senso epico, nostalgia e rimpianto, amorazzi
giovanili, voyeurismi, affetti, atmosfere domestiche, ricordi
struggenti, aspetti del proprio vissuto, autocompiacimenti, i canti
ascoltati, la perdita dei propri cari e di alcuni amici, i luoghi
emblematici del proprio territorio, il passato e il senso
d’appartenenza, i sapori, gli aromi, i suoni e un fluire di
sensazioni cangianti, legati agli antri domestici e agli ambiti del
paese o dei paesaggi sono gli ingredienti dei testi poetici
dialettali e in lingua di Muscillo, che, a volte, crea dei veri e
propri bozzetti, con dei tocchi impressionistici. Tanta è la cura
che mette nell’elaborazione testuale. E si avvertono i profumi di
varietà floreali antiche, che ancora persistono, come la malvarosa,
il volo del calabrone o della coccinella, gli odori fragranti di
pietanze arcaiche, il sapore dell’aglianico fresco e del rosolio
fatto in casa. La poesia di Muscillo è spesso epigrafica, pregna di
presagi. Che siano dei segnali scaramantici, nell’andirivieni
passato-presente e proiezione futura? Sono anche pensieri brevi e
veloci – a volte telegrafici – minimalisti – con un intrinseco
persistente lirismo. A volte è prosa lirica, sempre minimalista:
versicoli non incolonnati ma allineati sullo stesso rigo. Nel libro
vi sono anche mini racconti diaristici.
Isolo questi versi in dialetto
dalla poesia “Epitaffio per me medesimo” : Mò ca sò grann
capéscë pëcchè tènghë / u dócë nmòcchë e i parólë më ènzënë cómë
mélë. / Criatur, m’ann pust mpitt l’abbëtinë dë mëlógnë / Eppur
vulèss adduvënà i l’òtëm parólë, / quann spësëlèscënë la cascë / e
së l’appòggënë a i mòscëchërë: / < Uaglió, ngul a cómë grav mast /
Tatóccë, pur da murt >. Tradotti
fanno così: Solo da grande comprendo perché so usare / belle parole
nate da bocca dolce. / Da piccolo mi hanno appeso al collo l’amuleto
di tasso. / Sarei curioso di ascoltarli / quando solleveranno la
cassa / per portarla sulle spalle: / <perbacco come pesa, mastro
Donato, pure da morto>.
Poi colgo alcuni versi in lingua,
in cui il poeta gioca sull’uso delle parole : Mi vanto di poetare, /
di saper trattare le parole, / ma per te sola non ne trovo. /
Perché?
È importante che Donato Muscillo
abbia vissuto sulla propria pelle la “chiamata” e poi assecondato
l’“urgenza” della scrittura del dialetto, per un’ottantina di testi
con traduzione in lingua. Anche per restituire o donare una parlata
scritta agli amici genzanesi. E chi scrive il dialetto con questi
intenti, sa tenere a bada quella “ruspatrice di dialetti”, che è la
televisione dei talkshow e degli infiniti reality. Sa rifuggire dal
mondo di plastica che ci circonda, dalle piaggerie del consumismo e
dai valori fasulli. Perché essi tali appaiono a chi ha accumulato
esperienze di vita vissuta alle spalle.
(Molte delle
32 foto utilizzate sono state scattate da me personalmente; altre,
scaricate dal web, le ho ritoccate col pennello elettronico. Questo
testo, pubblicato dal Corriere-quotidiano dell’Irpinia
il 18 aprile 2011, è fruibile
nel sito
www.angelosiciliano.com).
Zell, 4 febbraio
2011
Angelo Siciliano
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