IL VINO : Da piacevole compagno a fatto di storia e cultura nonché fattore di sviluppo per l’economia agricola
Disegno
etnografico
Il vino ha accompagnato da sempre la vita dell’uomo e, in un certo senso, ne ha scandito la storia. Certo, deve essere stato un evento sensazionale scoprire che dell’uva era meglio berne il succo, anziché mangiarne i chicchi. E la scoperta molto probabilmente fu casuale. Ma ci sono voluti dei millenni, perché si arrivasse al vino, prodotto raffinato nelle tante varietà, così come noi possiamo oggi apprezzarlo e degustarlo. I reperti archeologici più antichi, attinenti al vino, datano 6000-5000 anni a. C. e sono stati riscontrati nelle zone caucasiche: Georgia, Armenia e Iran. Esiste una cultura del vino che è cresciuta nei secoli, con l’evolversi della civiltà umana e contadina. È sicuramente partita dal Mediterraneo, da cui il mito di Dioniso o Bacco, dio del vino e figlio di Zeus e Semele, che si è diffuso in altre aree geografiche, prima di tutto presso i Romani, che ha lasciato tante testimonianze archeologiche in merito. Nella Pompei archeologica, visitando gli scavi, è possibile visionare i luoghi di mescita delle bevande, compreso il vino. Ad Ercolano fu rinvenuta la statua di Ercole ebbro. Ed Ercole, eroe di tante fatiche e figlio di Giove, è una figura mitica, cui è collegata la diffusione della cultura della vite in alcune zone d’Italia, tra cui quella gardesana e, per rimanere nel Trentino, le convalli limitrofe, comprese la Valle Lagarina e Isera, dove, secondo la leggenda, egli avrebbe messo a dimora le prime talee, dopo essere passato per la Pianura Padana, dov’era giunto con i Graii, gli antichi coloni greci. Dalla cultura del vino la donna è rimasta esclusa per secoli. Nell’antica Roma, per le donne era vietato bere vino. Un controllore le sottoponeva a una sorta di alcol-test e chi era scoperta ad aver fatto assunzione di vino, era sgridata e anche percossa. La vite, come specie botanica, vive spontanea in Europa e nei territori che si affacciano sul bacino del Mediterraneo. Anche in Asia e in America vi sono specie viticole. Quelle del continente americano sono servite alla viticoltura europea, come portainnesti, per combattere la fillossera, che verso la metà dell’Ottocento era stato il flagello dei vigneti europei. La Vitis vinifera, sottospecie sativa, apparsa in Italia dopo la sottospecie silvestris, forse non prima dell’Età del Ferro (1000 a. C. circa), coltivata, prima della fondazione di Roma, da Etruschi, Euganei, Latini e Sabini, comprende qualcosa come 5.000 varietà, ma solo un numero esiguo di esse è coltivato industrialmente. I vitigni si distinguono in vitigni da vino rosso o da vino bianco. Per le uve da mensa si contano centinaia di varietà, ma la loro coltivazione industriale è ridotta anch’essa a pochi tipi. I vini antichi erano molto differenti rispetto a quelli attuali. Nella Roma antica il vino era tagliato con dosi abbondanti d’acqua. Il vino puro, invecchiato di 15-20 anni, aveva sapore aspro e gradazione elevata, ed era destinato agli dei. Nel tempo la vinificazione ha affinato le tecniche di produzione, grazie all’esperienza, al miglioramento dei contenitori, delle condizioni ambientali e al supporto della chimica. Basti pensare al verderame, solfato di rame, essenziale per combattere la peronospora. Antiche leggende narrano che i Celti o Galli, come li chiamavano i Romani, invasero l’Italia, perché allettati dalla bontà del vino che da noi si produceva. Da quando i Gallo-Cenomani, da boscaioli e allevatori, divennero esperti coltivatori della vite, il termine Sommelier, etimo gallico che significava “conduttore di bestie”, è passato ad indicare prima il “cantiniere” e poi “il maestro assaggiatore di vini”. Per quanto riguarda i vini, importanti sono le denominazioni Doc (Denominazione d’origine controllata) o Igt (Indicazione geografica tTipica), per indicare vini genuini o di qualità particolari, con riferimento alla zona di produzione, ai terreni, alle tecniche adottate e ai vitigni, e la Docg (Denominazione d’origine controllata e garantita). Altra classificazione è quella che distingue vini da taglio, da pasto e speciali. Quelli da taglio, ricchi di un particolare componente, quale può essere il colore, l’alcole o l’acidità, sono destinati ad essere mescolati con altri vini che difettano dei caratteri suddetti. In Trentino si producono vini come Cabernet, Chardonné, Enantio, Marzemino, Merlot, Moscato giallo, Moscato rosa, Müller Thurgau, Nosiola, Pinot grigio, Pinot nero, Sorni, Teroldego e spumanti col marchio Ferrari, Talento e Trento Doc, che raggruppa una trentina di produttori. Sono poi da ricordare tanti vini importanti delle varie regioni italiane: Barolo, Barbera, Gattinara e Bianchetto del Piemonte; Tocai del Friuli; Refosco e Prosecco del Veneto; Brunello di Montalcino e Chianti della Toscana; Sangiovese e Lambrusco dell’Emilia Romagna; Aglianico del Sannio, dell’Irpinia e del Vulture; Negroamaro, Primitivo e Sangiovese della Puglia; Cirò della Calabria; Cannonau della Sardegna; Zibibbo, Marsala e Nero d’Avola della Sicilia. E di vini ve ne sono ancora tanti altri, con differenti denominazioni e qualità peculiari. I vini da pasto, destinati al consumo diretto, si distinguono in base alle pietanze, con cui si consiglia di accompagnarli. I vini speciali sono destinati a fine pasto o fuori pasto e comprendono gli spumanti, gli aromatici, gli aromatizzati, i passiti e i liquorosi. I vini cotti, in contrapposizione a quelli crudi, sono rari e molto dolci. Per effetto dell’ebollizione col fuoco per alcune ore, si realizza in essi una forte concentrazione del mosto. Dal mosto, dopo anni d’invecchiamento e cura, si può ottenere l’aceto balsamico, che si accompagna bene a molte pietanze. Nel Sud, in passato, c’era un detto: “Il vino buono si vende senza frasca”. Ciò significava che il vino di buona qualità era venduto direttamente dai produttori, in un periodo assegnato, e i consumatori accorrevano col passa parola, senza che si facesse ricorso alla pubblicità. Questa consisteva nel far gridare l’offerta di vino ad un banditore per le vie del paese e nell’esporre un ramo con foglie verdi, solitamente d’alloro, sulla porta d’ingresso dei luoghi di mescita che non fossero quelli convenzionali, come le cantine ufficiali, presso cui lo spaccio di vini era effettuato tutto l’anno. Ora, con l’internazionalizzazione dei mercati, anche un prodotto di qualità, qual è il vino, deve essere adeguatamente pubblicizzato. Il consumatore non si accontenta più di bere vino. Vuole conoscere la storia del prodotto che compera, il luogo di provenienza e sapere chi lo produce. I nuovi paesi produttori di vino, quali Australia e Cile, si vanno affermando sui mercati, grazie ai loro prezzi concorrenziali con quelli dei vini europei: francesi, italiani e spagnoli. Va anche detto, che da anni i concorrenti principali del vino sono le bevande con dolcificanti artificiali, prodotte in primo luogo dalle multinazionali, di cui i giovani fanno largo uso. Il vino è un importante fattore economico di sviluppo, non solo per l’agricoltura, ma anche per l’indotto. Oggi, causa la globalizzazione, si pongono problemi seri di costi di produzione, di distribuzione e prezzi al pubblico, che sono spesso un limite serio all’espansione del suo consumo. In passato non è che le cose andassero meglio. Si è accertato che, verso la fine del ‘700, il prezzo del vino era pari almeno a sei-sette volte quello odierno. Un pericolo che si prospetta all’orizzonte, che inquieta non poco gli appassionati del vino, è quello degli O.G.M., Organismi geneticamente modificati, che potrebbero essere introdotti nella coltura della vite, all’insaputa dei consumatori. In questi ultimi trenta anni il consumo di vino è calato del 50%. Rispetto al passato gli anziani sono diventati più virtuosi. Bevono di meno o addirittura se ne astengono. In ciò sono consigliati anche dai propri medici. Per tentare di arginare, in qualche misura, la flessione nei consumi di vino, agli operatori non rimane che proseguire sulla via intrapresa da tempo del “vino inteso come cultura”, vale a dire non solo come conoscenza e approfondimento storico, ma anche come promozione di immagine del vino, quale prodotto di qualità, senza trascurare abbinamenti con altre operazioni o attività sia commerciali che culturali. Anche il turismo enogastronomico è diventato, in questi anni, un’importante fattore di sviluppo e di conoscenza sia dei luoghi di produzione che di consumo del vino. In Trentino, la Confraternita della Vite e del Vino, guidata attualmente dal Gran Maestro Enzo Merz, che è a capo del Capitolo, e i cui soci sono i Confratelli, promuove la conoscenza e la cultura del vino. Organizza convegni, simposi e conferenze, occasioni gastronomiche per l’abbinamento dei vini alle pietanze, tiene i contatti con le manifestazioni e le mostre dei vini, sia a livello locale che nazionale, calendarizza visite presso le cantine che operano sul territorio provinciale o su quello di altre regioni. Di norma queste uscite hanno un abbinamento culturale, come visite a chiese, palazzi, castelli, musei, mostre d’arte e luoghi storicamente rilevanti. A fine settembre 2007, per iniziativa della locale Camera di Commercio Industria e Artigianato, è stata inaugurata l’Enoteca provinciale del Trentino, la cui sede è a Palazzo Roccabruna di Trento, magnifica dimora rinascimentale, che ospitò, a chiusura del Concilio di Trento (1545-1563), l’oratore del re di Spagna, Claudio Fernandez de Quiñones, Conte di Luna, cui è dedicata la sala d’onore del Palazzo degnamente affrescata, detta Sala del Conte di Luna. Nelle sale al pianterreno del palazzo sono esposti i vini trentini etichettati e l’obiettivo è di far conoscere la produzione enologica locale abbinata alla tradizione enogastronomica e ai prodotti tipici locali. Sono organizzati incontri settimanali, didattici e promozionali, sia per la conoscenza dei vini del territorio che dei produttori e la loro storia. La Provincia Autonoma di Trento destina importanti risorse a questa attività, essenziale per lo sviluppo agricolo del territorio.
Raccomandazioni sull’uso degli alcolici
In conclusione, si può dire che il vino non fa male. Guai però ad abusarne! Il ricorso al vino, smodato e continuato nel tempo, come d’altronde l’uso eccessivo di altre bevande alcoliche, può portare alla dipendenza, con tutti i gravi problemi connessi. E chi entra nel vicolo cieco dell’etilismo, per uscirne ha bisogno dell’aiuto di chi ben conosce il problema, vale a dire i volontari dell’Associazione Alcolisti Anonimi. La filosofia, che si è andata affermando, è bere poco, ma bere bene. In piccole dosi, il vino, grazie ai fenoli in esso contenuti, flavoni e antonoli, può essere di qualche giovamento all’organismo. Lo stato di gaiezza che il vino procura a chi ne fa uso, non dipende dall’alcol. Pare che sia dovuto a un tannino nobile in esso contenuto, la cui molecola è simile a quella del cioccolato che dà un senso di benessere, quando lo si mangia. È stato accertato che l’alcol riduce la prontezza dei riflessi, per cui a chi è patentato si raccomanda di non assumere alcol, quindi nemmeno vino o birra, quando deve porsi alla guida di un autoveicolo, perché i livelli di tolleranza d’alcol nel sangue, imposti per legge, sono molto bassi, anche se quello previsto per l’Italia, 0,5 grammi per litro, è il più alto rispetto agli altri paesi. Il codice della strada prevede “accertamenti qualitativi” del tasso alcoolemico, con strumenti idonei da parte della polizia stradale, e, pur nel rispetto della privacy, sono previste sanzioni severe per i guidatori in stato d’ebbrezza: ritiro della patente, sequestro del veicolo ed elevate sanzioni pecuniarie. (Questa è una versione aggiornata, per la rivista “La Vigna” della Confraternita della Vite e del Vino di Trento, del mio articolo che uscì nel 1994 nella rivista trentina “Rene & Salute” ed è nel sito www.amgelosiciliano.com).
Zell, 15 marzo 2008 Angelo Siciliano Una versione di quest’articolo uscì nel 1994 sulla rivista trentina Rene & Salute.
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