Cominciai
ad avvicinarmi all’arte del Romanino verso la fine degli anni
Settanta. Ero arrivato a Trento nel ’73, dove avrei messo radici.
Rimasi affascinato dal Buonconsiglio, il castello di Trento, sede del
Museo Provinciale d’Arte e residenza, a partire dal XIII secolo, dei
principi vescovi. Della sua cinta muraria è parte integrante Torre
Aquila, splendidamente affrescata col “Ciclo dei Mesi”, tra il 1391 e
il 1407 nello stile gotico internazionale, in cui è rappresentato uno
spaccato sociale e stagionale di quello scorcio di medioevo. Fa parte
del Buonconsiglio la Fossa dei Martiri, dove furono eseguite, da parte
degli austriaci, le condanne a morte dei martiri irredentisti della
prima guerra mondiale: Damiano Chiesa, Cesare Battisti e Fabio Filzi.
Rimasi stupefatto
dagli affreschi della Loggia del Romanino, dipinti da questo artista
tra l’autunno del 1531 e la primavera del 1532, in quello che è il
Magno Palazzo, maestosa residenza rinascimentale fatta edificare tra
il 1528 e il 1536 accanto al nucleo più
antico, Castelvecchio, da
Bernardo Cles,
principe vescovo di Trento dal 1514 al 1539, che tanto si adoperò,
affinché Trento ospitasse degnamente il concilio della Chiesa
cattolica, il cui obiettivo era quello di bloccare l’avanzata del
Luteranesimo. Oltre al Romanino, per
decorare il Magno Palazzo, chiamò anche altri valenti artisti, quali
Dosso e
Battista Dossi,
Marcello
Fogolino, Vincenzo Grandi, Alessio Longhi e Zaccaria Zacchi.
Proprio il castello del Buonconsiglio ha
dedicato, da luglio ad ottobre 2006, una splendida mostra al Romanino,
i cui visitatori all’inizio di settembre superavano il numero di
50.000. Questa esposizione è stata organizzata a 40 anni dalla prima e
unica mostra monografica che gli dedicò Brescia, città in cui
l’artista nacque verso il 1485 e vi morì attorno al 1560.
A
riprova dell’impressione che suscitò in me questo artista, nel 1986
dedicavo alla sua opera due pastelli, esposti nella mia mostra
“Ironiche su Trento”, tenuta nell’allora vivo e vegeto Centro Fratelli
Bronzetti. Mi ero ispirato agli affreschi della Loggia del Romanino,
che hanno di per sé un che di satirico o vignettistico, com’ebbe a
scrivere Pier Paolo Pasolini nel 1965.
Dopo
aver ammirato il centinaio di opere, per lo più d’arte sacra – alcune
delle quali splendide – della mostra del Romanino, provenienti da
collezioni e musei prestigiosi italiani ed esteri, resto convinto –
come d’altronde lo era Bernard Berenson – che lui espresse il meglio
della sua arte negli affreschi. E ciò per l’interpretazione e la
rappresentazione dei personaggi, per le scene fantasiose e la vivacità
cromatica. I suoi colori hanno una particolare brillantezza, per via
del suo apprendistato veneziano con artisti del calibro di Giorgione e
Tiziano. Il suo stile, molto personale, bizzarro e fantasioso, che gli
attirò diverse critiche da parte dei contemporanei, affonda le radici
nell’arte lombarda, in particolare del Bramantino, e in quella
tedesca. È opinione degli addetti ai lavori che la sua pittura
precorre l’arte del Caravaggio.
Intensa
fu la sua vita artistica, iniziata nella città natale, Brescia, dove
aveva bottega. Le tappe successive della sua produzione lo videro
operare a Tavernola Bergamasca, dove si rifugiò nel 1512 per via del
sacco di Brescia, e vi dipinse Madonna in trono tra santi e
donatori. Successivamente, dal 1513 al 1530, operò nelle città di
Padova, Mantova, Brescia e Cremona con l’obiettivo di maturare un
linguaggio personale. Poi, come si è detto sopra, fu a Trento per
realizzare nel Magno Palazzo quello che è considerato il suo ciclo
pittorico profano più importante. Quindi dal 1532 al 1540 operò nella
Valcamonica, dove raggiunse la piena maturità artistica, concependo un
modo anticlassico di fare arte, nel contempo non manierista, con una
propensione ad una dimensione popolare, talvolta grottesca. In
Valcamonica sono tre i luoghi in cui ha lasciato tracce importanti del
suo operato. A Pisogne è la chiesa di Santa Maria della Neve ad
attestare, con affreschi monumentali, il suo ciclo sacro più
importante con la Passione, la Morte e la resurrezione di Cristo.
Giovanni Testori la definì “La Cappella Sistina dei poveri”. A Breno,
nel presbiterio della chiesa di S. Antonio, gli affreschi con scene
bibliche evidenziano uno stile grottesco e una predilezione per un
gusto stravagante. A Bienno è la chiesa di S. Maria Annunciata, con i
dipinti Lo Sposalizio della Vergine e L’Annunciazione a
dimostrare che il Romanino è artista capace di rinunciare al gusto
popolaresco, per sfoggiare un delicato equilibrio formale e cromatico.
Anche
il Romanino restò vittima della Controriforma. Come successe per molti
nudi della Cappella Sistina di Michelangelo, cui furono applicati dei
mutandoni dipinti, anche qualche suo nudo subì la stessa sorte e il
restauro degli anni Ottanta al Buonconsiglio, oltre a consolidare
qualche affresco a rischio di distacco, servì anche per rimuovere
questi mascheramenti posticci.
Nella mostra di
Trento erano esposti dipinti e affreschi del Romanino trasportati su
tela e, per la prima volta, diversi suoi disegni. Vi erano anche opere
di altri artisti per una sorta di comparazione con la sua arte.
Catalogo: testi di Francesco
Frangi, Alessandro Nova, Stefania Buganza, Ezio Chini, Francesca de
Grammatica, Lia Camerlengo, Alessandro Nova, Vincenzo Gheroldi e
Stefania Buganza; bibliografia di Carmen Calovi e Salvatore Ferrari;
pagine 447 con circa 300 illustrazioni in buona parte a colori;
stampato in luglio 2006 dalle Arti Grafiche Amilcare Pizzi Spa di
Cinisello Balsamo (MI), per la Silvana Editoriale Spa.
Castello del Buonconsiglio: sito
www.buonconsiglio.it
(Corredato d’immagini questo articolo
è nel sito
www.angelosiciliano.com).
Krotone,
25 novembre 2006 Angelo
Siciliano