IL PIACERE DEL VINO SECONDO GIACOMO LEOPARDI In alcune riflessioni de Lo zibaldone
Lo zibaldone di pensièri, composto da Giacomo Leopardi (Recanati 1798-Napoli 1837) tra il 1817 e il 1832, pubblicato la prima volta nel 1898-1900, da una commissione governativa presieduta da Giosuè Carducci, e una seconda volta da Francesco Flora nel 1937-1938, assomma l’officina segreta dell’autore. E che officina! Contiene appunti, abbozzi, ricordi, osservazioni critiche, riflessioni psicologiche, morali e filosofiche che il grande recanatese andò annotando sistematicamente con uno spirito diaristico-documentario e in cui si definisce compiutamente la sua poetica, unitamente alla concezione del mondo e della vita. Ma è anche un’opera di altissima prosa, autonoma rispetto all’opera poetica, accostabile alle sue Operette morali e alle Lettere nonché alla migliore prosa della letteratura italiana. Lo zibaldone contiene pure riflessioni sul vino. E chi l’avrebbe detto! Il Carducci, che se ne intendeva, avrebbe definito il vino “il sapiente della vita oblio”. E anche Leopardi, seppure alcuni gli hanno appiccicato addosso l’etichetta di astemio, si lascia andare a ragionamenti e considerazioni che, di solito, solo uno che il vino lo conosce bene può fare. Le Marche, oltre che terra di mare, sono da sempre terra di vigneti e di ottimi vini. Lo erano già nel Cinquecento, tanto che nel 1596, Andrea Bacci, medico di papa Sisto V, scriveva che “i vini più schietti bianchi e neri, producono i colli verso levante e mezzogiorno di Recanati; ottimi poi quelli di Fano, specialmente quelli ottenuti da Malvasie e Trebulane. Buoni anche quelli dell’agro e villaggi limitrofi a Pesaro, quali il Colle Imperiale, Novilara, Castro Gradazzo, vini tutti esportati in gran quantità a Venezia”. Un paio di secoli dopo, Francesco Cassi (1778-1849), poeta pesarese, nonché cugino del conte Monaldo Leopardi, genitore di Giacomo, avrebbe dedicato un suo canto al duca Massimiliano di Leuchtemberg, figlio di Eugenio Beauharnais, che è un elogio ai luoghi di produzione del vino, attraverso i seguenti versi: che sui colli vitiferi / d’Ancona // Sul pingue osiman clivo / e su gli eccelsi // di Recina e di Jesi ameni / poggi // A te Signor vendemmia / e miete. In casa Leopardi, quindi, era cosa consueta e antica il culto del vino. Tant’è che nella biblioteca di famiglia vi è un libretto illustrato di M. Bidet, tradotto dal francese da un accademico etrusco e georgofilo, stampato a Venezia nel 1757, riguardante la coltivazione della vite e il modo di fare i vini. Da un appunto di Monaldo si apprende che era appartenuto al conte Vito, nonno di Giacomo. Ritorniamo al poeta, che, da quel che era, pallido, malaticcio, pessimista per eccellenza e depresso, non avrebbe potuto amare il vino, che invece è vita, gioia, sogno e vigore. Ebbe più di un detrattore a riguardo. Il primo fu Mariano Luigi Patrizi, fisiologo lombrosiano. Stilò un saggio psico-antropologico sul Leopardi prendendo spunto da una lettera di costui al cugino Melchiorri, scritta da Recanati il 20 ottobre 1822, in cui confidava che “era solito mangiar poco e non beveva vino”. Altri due detrattori furono l’amico del poeta, il letterato liberale napoletano Antonio Ranieri (1806-1888), autore tra l’altro di una storia, sulla loro settennale amicizia (1830-1837), pettegola e inattendibile, Sette anni di sodalizio con G. Leopardi del 1880, e sua sorella Paolina. Si possono ritenere, le considerazioni di questi detrattori, come delle vere e proprie tesi precostituite e fuorvianti. Chi ha confutato queste tesi, è stata la contessa Anna Leopardi, affermando in una conferenza che se Giacomo Leopardi fosse stato astemio, dalla sua famiglia ciò sarebbe stato considerato se non un’anomalia, quanto meno una stranezza. Ha potuto fare questo leggendo attentamente l’Epistolario e Lo Zibaldone. In quest’ultimo vi sono riflessioni sugli effetti del vino e, nel 1823, Leopardi annotava: “come ho provato più volte per esperienza” e ancora “come ho pure osservato in me stesso più volte”. Quindi, queste considerazioni scritte tolgono ogni dubbio e fanno del Leopardi un normale degustatore di vino. Se ancora qualche dubbio persistesse, basterebbe leggere una delle prime note in versi de Lo Zibaldone, scritta il 14 novembre 1820, che così recita: Il vino è il più certo, e / (senza paragone) il più / efficace consolatore. / Dunque il vigore; / dunque la natura. Essa si lega molto bene con l’ultima nota in versi del 17 luglio 1827: Il piacere del vino…/ Non è corporale / semplicemente. / Anzi consiste / principalmente / nello spirito ec. ec. Se ci si ponesse la domanda: «Ma a quali vini si riferiva Leopardi?». La risposta è: «Naturalmente ai vini marchigiani e a quelli recanatesi in particolare». E, infatti, scorrendo due lettere che indirizzò da Bologna a suo padre nel 1826, si scopre che scriveva di fichi, olio, formaggio e vini marchigiani elogiandoli rispetto a quelli bolognesi. E, a riguardo della commerciabilità del vino marchigiano, che a quel tempo si inviava solamente a Roma in piccola quantità, egli scrive che si sarebbe potuto commerciarlo molto bene a Bologna, dove sicuramente sarebbe stato preferito ai vini locali “tutti ingrati al gusto”. In conclusione si può dire che, grazie al vino, viene quanto meno sminuita la fama che si era fatta Leopardi, grazie a intellettuali romantici decadenti e positivisti della degenerazione, che l’hanno sempre rappresentato come tisico, nevrotico, incline al dolore, lacrimoso, incipriato e anche menagramo. Il libretto di 82 pagine, passatomi dal confratello Livio Pranzelores, Il piacere del vino, Frammenti di Giacomo Leopardi, con sei illustrazioni coerenti col tema vino, curato da Franco Foschi, stampato nel 1987 da Centrooffset a Mestrino (PD) per Aldo Francisci Editore, che mi ha fornito materiale e spunto per elaborare questo articolo, oltre alle riflessioni sul vino del grande poeta recanatese, contiene pure una decina di proverbi marchigiani a riguardo del vino e i suoi degustatori. (Questo articolo, scritto per la riviste “Judicaria” e “La Vigna” della Confraternita della Vite e del Vino di Trento, è anche nel sito www.amgelosiciliano.com).
Zell, 20 marzo 2008 Angelo Siciliano
Angelo Siciliano
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