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(Paolo
Toniolatti – critico letterario e
autore di questa scaletta
di lavoro, letta
con Antonio de Castel Terlago – analizza
9 poesie di A.
Siciliano che ha scelto personalmente)
Leggere:
LE COSE CHE
DICO
di
Angelo Siciliano
Le cose che dico
sono confuse
ma le sento fortemente.
Se meditassi
le direi allo stesso modo.
da: Versi biologici, Tipografia
Artigianelli, Trento 1977, pag. 7.
Quasi una
dichiarazione di poetica questi cinque versi. La prima poesia della
raccolta “Versi biologici”, edita a Trento nel 1977, di Angelo
Siciliano, insegnante, giornalista pubblicista, poeta e ricercatore
della parola, pittore. Nato a Montecalvo Irpino nel 1946, dal l973
residente a Trento. Con la tastiera delle parole e con la tavolozza
dei colori, lavora a dare forma al proprio sentire, con il sostegno di
una riflessione sulle cose severa ma non arcigna. Con un’aspirazione
alla verità, che sappia tenere insieme il sentimento e la razionalità.
È
Angelo Siciliano a proporci l’ascolto di un testo di Stefano Benni,
IL POETA, appunto, dalla raccolta
“Prima o poi l’amore arriva” del l990.
Leggere:
IL POETA
di Stefano Benni
II poeta è
un uccello
che becca
le parole
sotto la
neve del normale
viene sul
davanzale
e scappa,
impaurito
se lo vuoi
catturare
Il poeta è
femmina
Il poeta è
gagliardo
ha
qualcosa, nello sguardo
che tu
dici: è un poeta
Spesso è
analfabeta
ma è meglio
è più
immediato
il poeta è
un ammalato
celtico,
fegatoso, asmatico
Il poeta è
antipatico, scontroso
ombroso:
guai
chiamarlo
poeta
è una
cometa
che
annuncia un mondo nuovo
è
assolutamente inutile
è un
fallito
è un
pappagallo di partito
%
|
è organico,
no,
è fatto
d’aria
ha nella
penna tutta intera
la rabbia
proletaria
è sopra la
politica
è sopra il
mondo
il poeta è
tisico e biondo
il poeta è
sempre suicida
il poeta è
un furbone
il poeta è
una sfida
alle
banalità del mondo
il poeta è
assolutamente
del tutto
normale
il poeta è
omosessuale
il poeta è
un santo
il poeta è
una spia
poi un
giorno va via
in un’isola
lontana
o anche a
puttana
e lascia un
gran vuoto
nella
poesia
la sua
il poeta è
il titolo
di questa
mia
|
da:
Prima o poi l’amore arriva,
Feltrinelli, Milano, l990, pp. l09-110.
Così commenta Angelo Siciliano questa
poesia:
“Essa, nel suo
insieme, racchiude tutto ciò che è o potrebbe essere un poeta.
Il poeta ha il
diritto-dovere di essere serio, ma se sdrammatizza se stesso, non
prendendosi troppo sul serio, dona al mondo un lievissimo aiuto a
vivere meglio”.
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“Poesia e pittura sono
strumenti differenti, ma per me inscindibili e imprescindibili, con
cui si estrinseca il mio magma interiore”.
Così ancora Angelo
Siciliano in un’autopresentazione a una propria mostra di pittura.
Troviamo conferma di
questa circolarità delle immagini, con una forte venatura
surrealistica, che attinge simboli propri della cultura d’origine,
radicata nella terra, nella natura, con una pluralità di esseri, di
presenze, nella poesia NAVI DI ORTICHE.
Leggere:
NAVI DI ORTICHE
di Angelo Siciliano
Ha soffiato in noi
il vento del fuoco.
Gli alberi delle dita
pece accartocciata.
Covavo illusioni come lento fiume
germogliando rose nella carne.
Stupisce la libertà dell’aquila.
Nella serra del cuore lo stornello.
Sterpi di libri la biblioteca.
Canzonano le nuvole.
Musica nelle mura del corpo.
Note inimitabili.
Indicibili discorsi del vento
sulle assortite foglie dei volti.
Salperanno navi di ortiche.
L’universo in noi si incide.
Lenta l’acqua macina le stelle.
Dicono meno le parole
che i sassi lungo il greto.
da:
Versi biologici, Tipografia Artigianelli, Trento 1977, pag. 50.
In un’altra poesia abbiamo una Visione del padre, perduto troppo
presto. Il dolore permane, scandito dai tanti “non” che troveremo
nel testo HO VISTO MIO PADRE,
una lirica che ci offre parole terse ma non distese. Sentimento e
canto sono contenuti, fermati quasi, a distanza.
Leggere:
HO VISTO MIO
PADRE
di Angelo Siciliano
Ho visto mio padre
e non l’ho conosciuto.
Parli chi ha conosciuto mio padre.
Lavorava la terra
e la terra non era molta
odiava le fabbriche
e non c’erano fabbriche.
Ho visto mio padre
e non l’ho conosciuto.
Mi ha parlato forte
e non l’ho sentito
ha detto tante cose
e non ho capito.
Chi ha udito
venga a parlarmi
perché mio padre ha detto
cose importanti.
Ho visto mio padre
e non l’ho conosciuto
ho incontrato mio padre
e non si è ricordato.
da:
Versi biologici, Tipografia Artigianelli, Trento 1977, pag. l3.
Quasi in un
rovesciamento della propria situazione esistenziale, Angelo Siciliano
ci propone un testo di Nazim Hikmet, celebre poeta comunista turco,
scomparso nel 1963: FORSE LA MIA ULTIMA LETTERA A MEHMET, del
1953. Così ne parla Angelo Siciliano: “È questa una delle cose più
belle che un padre possa scrivere a un figlio. Io, meridionale,
emigrante (a Trento mi trovo benissimo), orfano di padre dal l949,
quando avevo tre anni e mezzo, originario di un mondo arcaico
contadino, da quando scopersi Nazim Hikmet ho sempre inteso questa
poesia come un fatto di struggente nostalgia. Nostalgia per una
presenza mancata, quella paterna; per il Mediterraneo, culla della
cultura occidentale e quindi presenza materna; per un’infanzia
faticosa, ma bella, e una giovinezza piena cogli amici, tutti persi
per strada”.
Leggere:
FORSE LA MIA ULTIMA LETTERA A MEHMET
di Nazim Hikmet
Da una parte
gli aguzzini tra noi
ci separano come un muro
d’altra parte
questo cuore sciagurato
mi ha fatto un brutto scherzo
mio piccolo, mio Mehmet
forse il destino
m’impedirà di rivederti
(… )
Non ho paura di morire, figlio mio;
però malgrado tutto
a volte quando lavoro
trasalisco di colpo
oppure nella solitudine del dormiveglia
contare i giorni è difficile
non ci si può saziare del mondo.
Mehmet
non ci si può saziare.
Non vivere su questa terra
come un inquilino
oppure in villeggiatura
nella natura
vivi in questo mondo
come se fosse la casa di tuo padre
credi al grano al mare alla terra
ma soprattutto all’uomo.
Ama la nuvola la macchina il libro
ma innanzitutto ama l’uomo.
Senti la tristezza
del ramo che si secca
del pianeta che si spegne
dell’animale infermo
ma innanzitutto la tristezza dell’uomo.
Che tutti i beni terrestri
ti diano gioia
che l’ombra e il chiaro
ti diano gioia
che le quattro stagioni
ti diano gioia
ma che soprattutto l’uomo
ti dia gioia.
(… )
Mehmet, piccolo mio
ti affido
ai compagni turchi
me ne vado ma sono calmo
la vita che si disperde in me
si ritroverà in te
per lungo tempo
e nel mio popolo, per sempre.
da:
Poesie d’amore,
Mondadori, Milano, 1980, pp. 206-209.
Angelo Siciliano sa
osservare la realtà, anche sul versante politico la sua coscienza
civile lo porta alla denuncia, come in NATALE, un testo, edito
nel 1977, in cui il linguaggio, portato di peso dalla quotidianità e
dal politikese, assume una forza, una violenza, al limite
dell’invettiva. Parole contro, la cui dolente attualità è prova
ulteriore di verità.
Leggere:
NATALE
di Angelo Siciliano
Natale di pescecani
degli sciacalli, degli avvoltoi.
Natale degli accaparratori
degli imboscatori, degli evasori.
Guai ai poveri di spirito
guai ai nullatenenti
agli stupidi onesti.
Piazzali di abeti e pini senza
radici
fiumi interminabili di canzonette
pacchi ipocriti di auguri.
Natale di superburocrati
degli esportatori clandestini
dei liberi professionisti
dell’illecito.
Guai ai creduloni, ai giusti
ai gustatori di spumante di Stato
agli applicatori di decreti.
Evviva agli abusivi dell’elemosina
ai mezzani, agli amministratori
locali
conniventi, ai generali golpisti.
Natale di pescivendoli benestanti
delle lunghe ovvie telefonate
dei supermercati, degli orefici
calamita di rapinatori.
da:
Versi biologici, Tipografia Artigianelli, Trento 1977, pag. 86.
Con un salto brusco
nel dialetto veneto, Angelo Siciliano ci propone la poesia SOLDI,
SOLDI... di Giacomo Noventa, scomparso nel 1960. ... “Per caso
ascoltai questa poesia una decina di anni fa, all’inizio degli anni
Ottanta, e mi piacque da matti (era un programma radiofonico della RAI
nazionale). La percepii come una sberla al rampantismo reaganiano, ma
anche oggi, in piena Tangentopoli, mi pare molto calzante”.
Leggere:
SOLDI, SOLDI... di
Giacomo Noventa
(Inno patriottico)
Soldi, soldi, vegna i soldi,
Mi vùi venderme e comprar,
Comprar tanto vin che basti
‘Na nazion a imbriagar.
Cantarò co’ lori i beve,
Bevarò se i cantarà,
Imbriago vùi scoltarli,
Imbriaghi i scoltarà.
Ghè dirò ‘na paroleta,
Che ghe resti dopo el vin,
Fioi de troie, i vostri fioi,
Gavarà ‘l vostro destin.
Soldi, soldi, vegna i soldi,
Mi vùi venderme e comprar,
Comprar tanto vin che basti
‘Na nazion a imbriagar.
Soldi, soldi, vengano i soldi, / Io
voglio vendermi e comprare, / Comprar tanto vin che basti / Una
nazione a ubriacare. // Canterò con coloro che bevono, / Berrò se
canteranno, / Ubriaco voglio ascoltarli, / Ubriachi mi ascolteranno.
// Gli dirò una parolina, / che gli resti dopo il vino, / Figli di
troie, i vostri figliuoli, / Si meritano il vostro destino. // Soldi,
soldi, vengano i soldi, / Io voglio vendermi e comprare, / Comprar
tanto vin che basti / Una nazione a ubriacare.
da:Versi
e poesie,
Marsilio, 1986, pag. 100.
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INTERVALLO
MUSICALE: CANTI ARCAICI DE LA ALBERCA (Spagna): “LA
DE SAN ANTONIO”
(Lamento di S. Antonio - scelto da A. Siciliano).
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Leggere:
PER PRIMO LEVI: ALLA MEMORIA* di Angelo Siciliano
Un’implosione:
gli ebrei, i nazisti, il lager.
L’olocausto incombe.
Una chiazza di sangue
su un ballatoio del palazzo
diffusa da una tivù impietosa.
La gente gradisce cronache crudeli
– ci si schermisce.
O Jahveh Jahveh, cos’hai permesso!
L’angelo che inviasti ad Abramo
che giocò con Israel, dov’era?
Neutrini ci hanno attraversati:
ecco numeri sulle braccia.
Lusinga di una stella nana
non di un buco nero!
* Primo Levi, chimico, scrittore, ebreo,
ex deportato, suicida a Torino gettandosi nella tromba delle scale del
suo palazzo, domenica, 12 aprile 1987.
Non ha potuto resistere oltre al pesante
fardello dei ricordi tragici del lager in cui fu internato, anche alla
luce di fatti ricorrenti che attesterebbero che il mondo non ha
memoria e la storia sembrerebbe non avere insegnato alcunché.
da:
DEDICHE,
calligrammi epigrammi epigrafi con increspature barbariche,
Edizioni ARCA, Trento 1994;
FERMENTI,
10 Poeti italiani contemporanei – Serie oro – Volume 7,
Libroitaliano World, Ragusa 2004.
Abbiamo ascoltato un altro testo di impegno civile di Angelo
Siciliano. Un ricordare che è allo stesso tempo un vedere i pericoli
che incombono e si annidano nel gusto di massa, nel modo stesso di
far informazione. Lo sguardo va ancora più in profondità nella
degradazione dell’uomo e della natura, ad opera dell’ “homo sapiens,
sapiens” che “da troppo tempo / apparecchia soluzioni finali”, nella
poesia APOCALISSE, edita nel
1987.
Leggere:
APOCALISSE
di Angelo Siciliano
Di alcuni di noi
idee ruzzolano per i viali
di fastosi giardini,
come al capestro.
Non avete mangiato
il corpo di Cristo,
l’avete divorato,
sbranandovi per minuti brandelli.
Che ne è della croce coi tarli?
I neri, senza ritegno,
divorano i rossi.
Anche i rossi
divorano i rossi.
Le ossa calcinate al sole,
tra l’albero di Giuda
e quello del Perdono.
Sarà smesso il jeans
per la camicia bianca,
l’abito scuro con farfalla.
Non si fanno guerra
il coccodrillo e il pescecane.
La foresta defogliata
verso la risaia
ingombra di carogne e cadaveri.
Non verrà Cristo apocalittico:
homo sapiens sapiens
da troppo tempo
apparecchia soluzioni finali.
da:
Tra l’albero di Giuda e quello del Perdono,
Trento, 1987, p. 35;
CONTROPAROLE, 13
poeti trentini contemporanei, curato da Giuseppe Colangelo, delle
edizioni ARCA di Trento 1994.
Proprio riferendosi a
questo testo, il critico Giuseppe Colangelo in “CONTROPAROLE”,
edito dall’editore ARCA di Trento nel 1993, ha potuto affermare che
“... Per Siciliano dunque il nostro non è un tempo di canto “ore rotundo”, bensì di stile lapidario, di frasi secche, di immagini
inquietanti, conchiusi preferibilmente nella forma dell’epigramma. In
attesa che si possa ritornare a “favellare” con nuova generosità,
dentro rapporti finalmente umanizzati”.
Talvolta le parole
Angelo Siciliano le incide nel marmo, come nell’EPIGRAFE PER
GIUSEPPE CRISTINO, antifascista di Montecalvo Irpino caduto in
Spagna, combattente per la libertà. Molti fili tengono legato Angelo
Siciliano alla propria terra. Un fare i conti, giorno dopo giorno, con
la storia.
Leggere:
EPIGRAFE PER GIUSEPPE CRISTINO
Tu lo sapevi come pochi
altri a differenza dei più:
la libertà infiamma i cuori
illumina il cammino umano
sa cogliere l’unico fiore
quello della gioventù.
Gli ideali grata mercede
più equa di qualsiasi moneta
la vera unica certezza
antidoto alle ambigue promesse
farneticazioni dei potenti di turno.
Nel cinquantenario del sacrificio
dalla terra di Spagna ormai democrazia
non ci tornano ceneri
ma la tua coerenza morale
da tempo chiede d’essere nostra.
Angelo Siciliano, Montecalvo Irpino, 20. 8. 1991.
da:
DEDICHE, calligrammi epigrammi epigrafi con
increspature barbariche,
Edizioni ARCA, Trento 1994.
Sul tema della libertà, Angelo Siciliano ci
propone le parole di Gibran Kahlil Gibran, libanese esule negli USA,
morto nel 1931. Sono alcuni passi dal celebre poema “Il profeta”.
Leggere:
La libertà”
di Gibran Kahlil Gibran
(… ) sarete liberi
soltanto
se suderete la vostra libertà, cessando
di chiamarla
un fine e un compimento.
In verità sarete liberi quando
l’affanno riempirà
il vostro giorno, e il bisogno e il
dolore la notte.
Sarete più liberi con questa cintura, e
più alti, nudi
e senza vincoli.
(… )
Ma come potrete innalzarvi oltre i
giorni e le notti,
se non spezzerete le catene che,
all’alba della vostra
conoscenza, imprigionarono il meriggio?
Quella che chiamate libertà è la più
forte di queste
catene, benché i suoi anelli vi
abbaglino, scintillando
al sole.
(… )
In verità ciò che bramate o che temete,
che vi ripugna
e vi accarezza, ciò che evitate o
perseguite, ogni
cosa in voi levita in un tenace e
incompiuto abbraccio.
E come luci e ombre accoppiate in una
stretta,
vi fermenta in cuore.
E se un’ombra dilegua, la luce che si
accende diventa
un’ombra per un’altra luce.
Così se la vostra libertà spezza le
catene essa diventa
la catena di una libertà più grande.
da:
Il profeta,
Guanda, 1980, pp. 83-85.
“Poesia profetica che
prende il lettore, oltre che per la bellezza delle metafore, per lo
stile colloquiale che la contraddistingue, trascurato in tanta poesia
contemporanea”.
Così Angelo Siciliano
ci guida in un’altra tappa del suo viaggio nella parola altrui.
Leggere:
L’ANIMA DEL SUD
di Angelo Siciliano
Il Sud, scruto
dal di fuori,
come l’anima
il corpo
da cui trasmigra.
da:
Tra l’albero di Giuda e quello del
Perdono,
Trento, l987, pag. l7.
Recupero di immagini luminose, il corpo e l’anima, un verbo,
“scruto”, che rende più teso il rapporto d’amore, il senso di
appartenenza alla propria terra. Un cercare, un riportare alla luce
ciò che rischia di essere sepolto. Il dialetto irpino, i canti
arcaici contadini, le presenze nel dialetto stesso di contatti con
altre culture. Una ricerca antropologica, quella di Siciliano, oltre
che glottologica. Concludiamo il nostro incontro con l’ascolto della
poesia inedita SIAMO NOI SEMPRE,
del 1991.
Un testo che ha una
musicalità alta, a segnare l’epopea della gente del Sud: un noi che
accomuna paesaggio, animali, natura, i luoghi dell’uomo, uomini e
donne. Un testo che a nostro avviso è di singolare, forte bellezza.
Leggere:
SIAMO NOI
SEMPRE
di Angelo Siciliano
Noi siamo quelli che fummo
cacciagione scampata alle traversie
eredi della vita che sopravanza
agli anfratti franosi di tufo
la salagione ad asciugare alla
pertica
serbiamo da sempre nel cuore
la pseudosimbiosi che ci lega
ancora ai suini e agli asini
ai galli che cantano nei condomini
cui fu già tirato il collo
per il rito della trebbiatura.
Siamo noi i muli mansueti
carichi con sporte d’ortaggi
o covoni e la stanchezza accumulata
decotto di papaveri sapido
negli occhi della luna
i licantropi le janare la
civetta
di questa terra generosa d’aranci
alloro violacciocche rosmarino
il grido stentoreo sconvolgente
dal castello in cima a tutto
i vicoletti desolati di pulci
al tanfo insopportabile d’orina.
Siamo sempre noi i sassi squadrati
lo scarso cemento la calce e la
paglia
che sopportammo tanti terremoti
senza deflettere dalla linea
tracciata
che prendemmo le donne tra gaggie
fiorite ed oleandri per essere
posseduti sempre artefici d’un
destino
che comunque ci sfugge la storia
di navi salpate la spugna di lingue
di genti che ci invasero nei secoli
di razze che ci permearono.
Krotone, 199l (inedito).
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