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Imparai a conoscere la poesia di
Alda Merini (Milano, 21 marzo 1931 – 1 novembre 2009) negli anni
Ottanta del Novecento. E accadde per la mia innata curiosità per la
poesia delle donne.
Una bibliografia vasta, la sua, con
un centinaio di opere pubblicate di poesia e prosa, anche se molte
sono circolate solo a Milano. È la poetessa più prolifica nel
Novecento, con una biografia sconvolgente, scandita dalla parola
poetica dall’età di sedici anni sino alla fine dei suoi giorni.
Nata in una famiglia di modeste
condizioni, è costretta a frequentare le scuole professionali,
perché respinta nella prova di italiano per l’ammissione al Liceo
Manzoni.
Giovanissima, ha due amori
importanti: Giorgio Manganelli prima e Salvatore Quasimodo dopo.
Sono i suoi maestri di stile, a cui dimostrerà sempre riconoscenza
dedicando loro dei testi poetici. Quasimodo, oltre ad inserirla
nella sua antologia dei migliori poeti italiani, la utilizza come
collaboratrice e la introduce negli ambienti milanesi di lusso.
Prima a uno e poi all’altro, la Merini chiede di sposarla. Perché
desidera una casa, una famiglia e un figlio. Il loro diniego la
induce, all’insaputa di tutti, a sposarsi nel 1953 con Ettore
Carniti, titolare di alcune panetterie milanesi. E il matrimonio è
allietato dalla nascita di una figlia.
Nello stesso anno pubblica la sua
prima raccolta di poesie, La presenza di Orfeo,
che ha un grande successo di critica, cui seguono Paura di
Dio e Nozze romane
nel 1955.
Silvana Rovelli, cugina di Ada
Negri, sottopone alcune sue poesie ad Angelo Romanò e questi a sua
volta le passa a Giacinto Spagnoletti, ritenuto il vero scopritore
della Merini poetessa.
Poi il silenzio, ultraventennale,
contrassegnato dalla follia e il ricovero
nel manicomio Paolo Pini nel 1965, in cui rimane fino al
1972. Ma i suoi periodi di lucidità e follia si alternano fino al
1979. Durante i brevi permessi di
uscita concepisce le altre tre figlie. Ma le vengono portate via e
di quella separazione, tragica e traumatica, peggio degli
elettroshock subiti in manicomio, s’è lamentata per tutta la vita.
Nel 1981 muore il marito Ettore
Carniti. A causa della solitudine inizia una corrispondenza con il
medico e poeta tarantino Michele Pierri. Nel 1983 dedica al poeta e
alla memoria del padre la raccolta Rime petrose,
le liriche Per Michele Pierri
e Le satire della Ripa.
Nonostante la distanza e i trent’anni di differenza d’età, i due si
sposano e lei si trasferisce a Taranto. Ma anche qui non sfugge al
manicomio. Pierri si prende cura di lei e nel 1985 esce la raccolta
di liriche La gazza ladra ed
è ultimata la stesura del suo primo testo in prosa,
L’altra
verità. Diario di una diversa,
in cui la drammatica esperienza manicomiale è rivissuta con una
prosa dall’accento fortemente lirico.
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Ritorna a Milano dopo cinque anni,
nella sua casa sui Navigli, e trova che è tutto cambiato. In
Canto Milano, edito nel 2007 da
Piero Manni di San Cesario di Lecce, scrive che il quartiere, a
causa della speculazione, s’è riempito di case e si respira solo
polvere, smog, fumi… Una volta c’erano i ladroncelli, “ladri di
galline”, noti a tutti. Ora ci sono i grossi ladri. E poi è pieno di
terrùn, simpatici e gran
lavoratori. Alcuni sono bottegai, e, con la scusa che è una
poetessa, la trattano con riguardo, ma si approfittano di lei
vendendole tutto più caro. Vi sono straccivendoli che si sono messi
a commerciare antiquariato. Prendono delle sue cose e cercano di
farci un sacco di soldi, perché sono “cimeli” appartenuti alla
Merini. E anche dei medici, lasciata la propria professione, si sono
dati a questo genere di affari e han fatto fortuna. Insomma, Milano…
è una grassa signora / piena di inutili orpelli. Ma noi poeti –
scrive la Merini – non saremo mai capaci di questo.
Nel 1998 esce con l’Einaudi
Fiori di poesia, un’antologia
curata da Maria Corti, sua “amica, estimatrice e quasi materna
protettrice”, con poesie scritte tra il 1951 e il 1997. Essa ingloba
una visione d’insieme dell’universo poetico della Merini, che va al
di là delle singole pubblicazioni, talvolta fuorvianti anche per il
lettore avveduto. Il processo creativo della Merini è così descritto
dalla Corti: “Dapprincipio lei vive all’interno di una realtà
tragica in modo allucinato e sembra vinta; poi la stessa realtà
irrompe nell’universo memoriale e da lì è proiettata
nell’immaginario e diviene una visione poetica dove ormai è lei a
vincere, a dominare, non più la realtà”.
Il vero maestro della Merini è
Rilke. La sua opera è illuminante. Lo scrive lei stessa. E la poesia
diventa religione del pensiero, del silenzio e della solitudine.
Manganelli e Quasimodo non avrebbero potuto capirla. Anche se
Pasolini la definisce “blasfema”, la parte più cospicua della sua
produzione s’intreccia con la fede, la teologia, Dio, Maria e Gesù.
Opere come Magnificat: un incontro con Maria,
2002, La carne degli angeli,
2003, Poema della croce,
2004, Cantico dei Vangeli,
2006, Francesco, canto di una creatura,
2007, e Mistica d’amore,
2008, tutte edite da Frassinelli, sono il suo percorso di
“resurrezione”. La sua poesia fluisce come la preghiera di un
credente non convenzionale. Nel suo caso, di donna violata,
peccatrice, incompresa, umiliata, che ha avuto in sorte l’incontro
con Dio. La parola diventa rivelazione profetica, o evangelica.
Impastata di misticismo e di eros. Un linguaggio fitto di
chiaroscuri, in stile metaforico, accattivante e raffinato. Ma quasi
sempre comprensibile. Perché la sua parola è immediata e diretta. E
il lettore questo lo percepisce. Interroga figure – le più
importanti della fede cristiana – e dedica testi poetici a
personaggi che ha conosciuto, o con cui ha percorso un tratto della
propria vita insieme. Vive di poesia e ne fa dono. E la sua parola
sgorga copiosa, come polla d’acqua fresca da una sorgente
inesauribile d’estate. Economicamente le viene in soccorso la legge
Bacchelli.
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Una caratteristica della Merini
è la poesia dell’oralità a svantaggio della scrittura. Se gli
altri poeti normalmente fanno serate e leggono i propri testi,
lei si affida all’improvvisazione, alla nascita di getto dei
versi. E sono gli amici a farsi carico della trascrizione per
lei. La volpe e il sipario,
Girardi editore, Legnano 1997, è la raccolta di poesie della sua
oralità.
La frequentazione di artisti e
personaggi dello spettacolo, e alcune apparizioni in tivù, col
suo atteggiamento arguto e irriverente, capace di spiazzare
interlocutore e spettatori, la rende nota al grande pubblico.
Ormai è una star.
La Terra Santa, Einaudi 1991 e
Scheiwiller 1996, è considerato il suo capolavoro, con le
straordinarie liriche sulla tremenda esperienza in manicomio, e
le vale, nel 1993, il Premio Librex-Guggenheim “Eugenio Montale”
per la poesia. Nel 1996 le è assegnato il Premio Viareggio.
Riceve diversi altri premi e riconoscimenti. È proposta per il
Premio Nobel per la letteratura dall’Academie Française, da
Dario Fo e altri esponenti della cultura e del giornalismo.
Ora che non c’è più, con quel
sorriso disarmante, la sua ironica vivacità e la sigaretta dalla
sua bocca senza denti, c’è la sua poesia e le parole scritte ce
la restituiscono viva. Quasi come una volta.
Alla sua morte, le quattro figlie le sono accanto. Il sindaco di
Milano, Letizia Moratti, riconoscendo che ha onorato e amato la
sua Milano fino all’ultimo, con i suoi alti meriti artistici e
culturali, mette a disposizione la sede del Comune, Palazzo
Marino, per l’allestimento della camera ardente, e dispone per
la sua sepoltura al Famedio del Cimitero monumentale, tra i
grandi di Milano.
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P.
S. Nel 1994 le dedicavo questa breve poesia uscita nella mia
raccolta DEDICHE, per le Edizioni ARCA di Trento: SI PUÒ // Si può
combinare la carne / col sacro l’autostrada / il rimorso
dell’impatto / l’orto del Getsemani / l’urlo della bestemmia. /
Tutto il Verbo può / anche fiorire il dolore. (Ad Alda Merini, / per
quella piacevole follia / che si chiama poesia).
(Questo testo,
pubblicato sul Corriere –
quotidiano dell’Irpinia
il 4 gennaio 2010 e sui
Quaderni del Gruppo Poesia 83
di Rovereto (Tn) in gennaio 2010, è fruibile nel
sito
www.angelosiciliano.com.
Le foto sono rielaborate
da me personalmente, e, tranne la prima, sono di Giuliano Grittini,
tratte dal libro summenzionato, Canto Milano).
Zell, 10 gennaio
2010
Angelo Siciliano
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