Per gioco cominciai a scrivere quanto qui è
contenuto che solo successivamente si è venuto definendo come «
progetto » di recupero culturale.
Il proposito, all’inizio, era di recuperare
dalla sabbia della memoria qualcosa che appartenesse al mio
passato, anche lontano, e fermano nella mia lingua originaria, il
dialetto montecalvese. Il risultato sarebbe dovuto circolare al
massimo tra pochi intimi, tanto più che l’operazione riguarda un
paese del l’Irpinia, terra questa senza una tradizione vernacola
scritta. La cosa, invece, si è andata dilatando oltre misura.
L’incoraggiamento poi,di alcuni amici, mi ha fornito gli stimoli
giusti per un recupero creativo, il più possibile completo e
fedele, di una cultura arcaica contadina, comune in certa misura a
buona parte del Meridione e che è o sta per entrare nella memoria
o nell’in conscio collettivo.
Si è trattato di un’operazione a tutto
tondo, spesso con connotazioni antropologiche, e la varietà dei
temi toccati, cunti, malisintenzie, detti e canti funebri, non ha
consentito una uniformità di stile e di contenuto. Ho ritrovato
comunque un pia cere antico, quello di quando ragazzo inventavo
storie per qual che coetaneo. La messa a punto dell’ortografia
dialettale mi ha consentito nel contempo, di fissare il dialetto
montecalvese che, a partire dagli anni Sessanta, ha subito un
declino irreversibile e inarrestabile. Esso fa parte della
famiglia dei dialetti irpini, di un’isola etnica la cui parlata è
comune, pur con molte differenze, ad un’isoglossa, ben delimitata
geograficamente, che si estende dall’Abruzzo meridionale sino alla
Calabria settentrionale. Il suo substrato è osco, su cui le 16-17
dominazioni che si sono succedute nel Meridione in questi ultimi
2.500 anni, hanno lasciato parole greche, latine, longobarde,
normanne, arabe, francesi, spagnole ecc.
Una volta rimossa quella specie di complesso
di inferiorità che ciascun meridionale, non solo di estrazione
contadina, si porta dentro nei confronti della cultura nazionale,
ho cercato senza « orgogli » di riscoprire,
prendendone atto, questo patrimonio culturale « morente »,
aspirando a realizzare due tipi di operazioni: una in prospettiva
orizzontale e cioè in modo sincronico rispetto al contesto
storico-linguistico entro il quale mi son trovato ad operare;
l’altra in prospettiva verticale e cioè in modo diacronico, nel
senso di un recupero della propria origine antropologica e di un
dialogo con la propria matrice culturale.
Non poche sono state le sorprese in sede di
verifica del materiale prodotto: assenza o comunque rapporti non
evidenti con la cultura della Magna Grecia; labilità o quasi di
rapporti Con la cultura nazionale; seppure quella contadina sia
cultura alquanto pagana, è intrisa di cristianità; la scoperta di
una mitologia « abbastanza » autoctona con indiscusse funzioni
mitologiche, salvo quando certe pratiche della magia, rifuggendo
il maleficio, via via assumevano funzioni liberatorie.
Dita aspetti fondamentali della cultura
contadina e meridionale sono l’emigrazione e una certa
conflittualità sociale. Per il primo è storicamente noto che il
Sud, dalla fine dell’800 in poi, è stato terra di emigrazione e
non a caso tanti italo-americani della terza generazione, anche
famosi, vengono a cercare le loro radici nel Meridione. Era
soprattutto la necessità di migliorare le proprie condizioni
socio-economiche a spingere le genti meridionali ad emigrare. E
quindi, per esse, l’emigrazione divenne elemento
storico-culturale inevitabile. Per il secondo c’è da dire che il
mondo contadino, una certa divisione in classi l’ha sempre subita.
È atavica la contrapposizione tra la piccola borghesia paesana
(medico, farmacista, impiegati ecc.) e contadini.
E le lotte politiche paesane di questo secondo dopoguerra, prima
che si venissero definendo i vari «feudi », come son da
considerare?
Ma non mi sono limitato a dare forma scritta
alla tradizione orale. Ho creato versi moderni dialettali e anche
se essi paiono in stretta relazione con la mia poesia in lingua,
mi auguro che possano essere considerati un modo di come il
dialetto irpino può rendere forma e contenuti ispirati alla vita
di oggi.
Ritengo che una cultura è « mortale » se non
lascia tracce evidenti . Io ho cercato di recuperarne una, seppure
in parte, ma ciò ncn mi autorizza a supporre che ora questa sia
sfiorata da
« immortalità ». Mi piace concludere o meglio iniziare con
qualche favorevole auspicio: che sia creato un vocabolario irpino
e venga avviata e condotta a termine una ricerca etnografica a
largo raggio, che coinvolga più Comuni dell’Irpinia.
Zell, aprile 1988
ANGELO SICILIANO
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