Una quarantina
d’anni fa, usciva nelle sale cinematografiche un film del regista
svedese Ingmar Bergman, “Il posto delle fragole”. Lo trovai
bellissimo, per i rimandi metafisici e surreali che riusciva a
trasmettere. Era incentrato su un maturo professore che, a
coronamento della propria carriera di medico delle famiglie, stava per ricevere
un alto riconoscimento attraverso il suo giubileo professionale. La notte che precedeva la
premiazione, egli faceva un sogno particolare: si rivedeva bambino
nel luogo degli affetti, dov’era cresciuto serenamente con i
familiari. Un posto tranquillo, con un giardino con le fragole.
Evidentemente si trattava di un luogo idealizzato. Poi, un carro
funebre, trainato da un cavallo imbizzarrito, andava a sbattere
contro un lampione. Nella bara che scivolava a terra, e il cui
coperchio saltava via nell’impatto, c’era proprio il professore.
A Montecalvo, io non ricordo che vi fossero fragole in passato. |

Asce di pietra a Montecalvo
Irpino |
Forse ora le
coltivano in serra. Tuttavia, il mio posto delle fragole è sempre
stato qui: la Costa della Menola, a scendere giù, fino alla Ripa
della Conca.Questa campagna coltivata per secoli, fino agli anni
Settanta del Novecento, forse perché condotta a coltura promiscua,
con ogni tipo d’albero da frutta, appariva come un eden. Ora è in
buona parte abbandonata e selvaggia, e alberi selvatici la
infestano e soffocano da ogni parte. Ma è anche un contesto
archeologico devastato. Come risulta d’altronde tutto il
territorio montecalvese. E nel resto dell’Irpinia non è che le
cose vadano meglio.I ritrovamenti di reperti archeologici, qui
sono sempre stati casuali e sporadici. Gli strati, accumulatisi
nelle varie epoche, non sono sovrapposti in regolare successione
temporale, ma risultano quasi sempre sconvolti e mescolati. E ciò
a causa dei disboscamenti, per la messa a coltura della terra, a
partire da quando l’uomo, da cacciatore e raccoglitore, scelse di
diventare stanziale. L’uso della zappa, poi dell’aratro trainato
da muli o buoi, e dei trattori nel Novecento, e ultima
l’introduzione di scavatori per il livellamento del terreno e lo
scavo di buche per i nuovi impianti d’ulivi o noci, finanziati
dall’ente pubblico, hanno portato ad un paesaggio molto diverso da
quello preistorico e quelli successivi, osco-sannitico prima e
romano poi. E di non secondaria importanza sono l’erosione del
terreno e i franamenti provocati da acqua e neve, associati
all’intervento umano non sempre corretto e rispettoso
dell’ambiente. Anche i tanti calanchi che si vedono in giro, al di
là della conformazione del territorio, sono una chiara
testimonianza del prolungato dissesto geologico.Nel territorio
montecalvese, che io ricordi, non sono mai venuti alla luce
reperti preziosi, anche se le leggende narravano del ritrovamento
fortuito di qualche vaso interrato, pieno di marenghi d’oro, la
saróla cu li mmarénghi, per spiegare un arricchimento di
qualche famiglia contadina, che agli occhi della gente appariva
come improvviso. Tuttavia va detto, che ogni reperto ritrovato,
anche quello in apparenza insignificante, è sempre da considerare
importante, perché contribuisce a farci capire chi ci ha preceduto
sul nostro territorio e come ha vissuto.
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Scoria di fusione |
Confesso che
l’archeologia, come altre discipline, mi ha appassionato sin dalla
giovinezza.Montecalvo, oltre che giacimento di miti, interessanti
per l’antropologia culturale, è anche un deposito archeologico
molto antico. Differenti reperti si possono ancora rinvenire fra
le zolle, fortuitamente, dopo che le piogge hanno provveduto a
dilavarli della terra che li incrosta.In questi luoghi di spiriti,
janare e lupi mannari, per me l’archeologia, più che un viaggio
iniziatico, ha sempre rappresentato una missione di conoscenza,
tant’è che per ben tre volte, in questi ultimi anni, “guidato”, ho
potuto riscontrare tra le zolle reperti assai significativi: delle
asce di pietra e una piccola moneta d’argento del 1689.Non scordo
un sogno postadolescenziale, comunque non avveratosi: gioielli
antichi parevano essere sepolti presso l’orto di famiglia. A
un’attenta verifica, però, non riscontrai alcunché.In quaranta
anni ho raccolto tra le zolle un’infinità di reperti: monete
antiche, frammenti ceramici, ossi, piccoli dischi, una scoria
della fusione dei metalli, reperti litici e in cotto. Tutti
rinvenuti sporadicamente, relativi ad epoche differenti, e
mescolati come a voler confondere le idee a un ricercatore.
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Cuspidi di pietra
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Una tomba a
pozzetto, dell’età del Bronzo, scavata in una spianata di tufo,
contenente lo scheletro di un bambino di pochi anni, fu rinvenuta
in località Imbergoli, a li ‘Mbriéuli, alla fine di Via
Lungara Fossi, nel 1985. Per me personalmente, però, di grande
suggestione e rilevanza è “il posto delle asce di pietra”, perché
ci riporta indietro, a un passato molto remoto. Ho sempre seguito
con ammirazione l’opera degli archeologi professionisti. Essi
scelgono, delimitano, con pazienza e cura, dopo ripetuti
sopralluoghi, l’area di scavo. Fanno rilievi fotografici,
picchettano, misurano gli strati, calcolano secoli e millenni,
scavano procedendo lentamente con piccole spatole e pennelli. |

Asce di pietra
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Annotano,
catalogano ogni oggetto venuto alla luce, immagazzinano rinviando
ad un tempo successivo ogni analisi, comparazione e studio.Ma per
“il posto delle asce di pietra”, non molto distante da dove scorre
un ruscello, questo non è più possibile. Tutto è stato spianato e
ripianato dall’attività antropica, e quello che poteva essere un
sito preistorico stanziale con capanne, oppure un luogo di bivacco
stagionale per la caccia, non è più riscontrabile. Bisogna
accontentarsi allora dei reperti rinvenuti, che sono le asce di
pietra non levigate, comunque non più nel loro sito originale. In
totale sono sette asce e cinque bifacciali a punta. Li ritengo
degli oggetti straordinari, e dopo qualche anno di studio, dubbi e
comparazioni, mi sono convinto che trattasi di reperti del
paleolitico, oltre diecimila anni a. C. D’altronde Camporeale e
Miglio d’Ardito, luoghi arianesi dove furono ritrovati in passato
reperti del paleolitico musteriano, non distano molto dalla Costa
della Menola e Ripa della Conca. Si potrebbe affermare, quindi,
che anche il territorio montecalvese, con i suoi boschi e valloni
ricchi di acqua e selvaggina, era frequentato o abitato dai
cacciatori e raccoglitori del paleolitico prima e del mesolitico
poi.
I dischi di pietra
o in cotto sono invece molto più recenti, ma hanno rappresentato
per me un vero rompicapo negli anni Ottanta. Li andavo
raccogliendo, perché alimentavano la mia curiosità. Ne discussi
col compianto Bernardo Bagolini, archeologo, professore di
preistoria all’Università di Trento e vicedirettore del locale
Museo di Scienze Naturali. Lui li interpretava come dei coperchi
di vasetti in terracotta, io invece ero affascinato da un’ipotesi
più fantasiosa: li consideravo dei giocattoli antichi, appartenuti
a corredi funerari di tombe di bambini, andate distrutte per mano
dei contadini. Poi finalmente uno spiraglio di luce, grazie a una
trasmissione televisiva di Rai Tre, Geo & Geo del 30 gennaio 1998:
dischi simili, denominati tochet, dell’epoca micenea, XV sec. a.
C., si rinvenivano con altri oggetti, anche d’oro, negli scavi
intrapresi nell’isola di Vivara, nel golfo partenopeo. S’ipotizza
che essi fossero adoperati come monete. E ancora dischi dello
stesso tipo, del IV sec. a. C., nel 2004 li trovavo esposti nelle
vetrine del museo di Mozia in Sicilia.
Una scoria
sporadica, dell’età del Bronzo, recentemente da me trovata, fa
ipotizzare che in questo territorio si procedesse alla fusione dei
metalli, utilizzando la legna ricavata dagli abbondanti boschi.
Ricordo da ragazzo che, nello spoglio terreno coltivato a viti, ci
si imbatteva spesso in quelle che all’apparenza sembravano pietre
nere spugnose, così differenti dalle altre, che i contadini
ammucchiavano con altri sassi e successivamente eliminavano. Ho
riscontrato anche reperti romani del III sec. d. C. Ho messo
insieme molti frammenti fittili, relativi a prodotti ceramici di
varie epoche, dal mal cotto della preistoria sino ai frammenti di
stoviglie, riferibili al periodo che va dal XVI al XX sec.Molte le
monete antiche ritrovate, risalenti al XVII sec. e a quelli
successivi, e anche medagliette in bronzo, con immagini di santi,
sicuramente più antiche.Concludendo, si può dire che tutti questi
reperti non sono certamente preziosi o eclatanti, come quelli che
si ammirano nelle vetrine dei musei della Magna Grecia.
D’altronde, questa terra non fu mai colonia greca. Qui vi erano
gli Opici che, fondendosi con i Sanniti, che avevano conquistato
la Campania intorno al 600 a. C., diedero origine agli Osci od
Oschi. Tuttavia, senza presunzione alcuna, ritengo che questi
reperti, per quanto poveri possano apparire, hanno un’importanza
oggettiva non trascurabile. Aggiungerei che essi assumono quasi un
valore affettivo nei confronti dei nostri progenitori, anche
quelli più antichi, e ispirano un senso d’appartenenza a questi
luoghi che, osservati dall’esterno, paiono abbandonati da Dio e
dagli uomini.
Quest’articolo ne preannuncia un
altro per il futuro, sull’archeologia “distrutta” a Montecalvo
Irpino, con una perizia, di un archeologo trentino, relativa ad
alcuni reperti montecalvesi.
Montecalvo, 5 settembre 2005
Angelo Siciliano
www.angelosiciliano.com |

Il luogo del
ritrovamento (Ripa della Conca)
Montecalvo Irpino

I gettoni di Mozia

Dischi fittili |
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